Conclusa l’esperienza di premier, non è immaginabile che Mario Draghi opti per un ruolo di Cincinnato ritirandosi nella residenza di Città della Pieve e magari, come il console romano che si era spogliato di tutti i suoi beni e si era rifugiato nelle sue campagne, attenda una chiamata, memore del fatto che Cincinnato fu invocato per tornare alla vita politica e nominato “Dictator” a oltre 80 anni. È molto più probabile che potrà affrontare una fase di “decompressione”, magari dedicandosi a conferenze, convegni e lezioni, alla stregua degli ex presidenti delle principali Banche centrali. L’esperienza in Italia è, nel complesso, diversa.

Tra gli ex governatori della Banca d’Italia, Luigi Einaudi, dopo aver fatto parte del Governo De Gasperi e l’elezione alla presidenza della Repubblica, si ritirò a vita privata; Carlo Azeglio Ciampi, cessato il mandato di presidente del Consiglio nel 1994, non ricoprì alcuna altra carica, poi fu chiamato a far parte del Governo Prodi nel 1996 come Ministro del Tesoro; prima di lui, Paolo Baffi, al termine di un Governatorato in una stagione, come egli disse, “di ferro e di fuoco”, si dedicò allo studio e alla scrittura di saggi e articoli per uscire in pubblico solo per presiedere il Comitato che studiava la possibilità del superamento del nucleare e intervenire con grande efficacia e risonanza nell’assemblea che fu allora indetta; il predecessore, Guido Carli, uscito da Palazzo Koch, accettò l’elezione a presidente della Confindustria per poi essere eletto senatore, fino all’incarico di ministro del Tesoro, il ministro che firmò il Trattato di Maastricht; in precedenza Donato Menichella si era, anch’egli, ritirato a vita privata.

Antonio Fazio, che non aveva accettato la proposta dell’investitura di presidente del Consiglio alla caduta del Governo D’Alema, non svolge oggi alcun incarico, ma si dedica allo studio, alla scrittura di saggi e alla partecipazione, di tanto in tanto, a qualche convegno su temi economici o istituzionali. L’ultimo libro scritto tratta L’inflazione in Germania nel 1918-1923 e la crisi mondiale del 1929 (ed. Treves) che ha riscosso un grande interesse non solo tra gli studiosi, come è emerso pure dalla sua presentazione. È inutile richiamare questi precedenti, data la grande evoluzione segnata negli ultimi anni in tutti gli aspetti sociali e istituzionali? Forse, ma è difficile che si giudichi opportuno l’eventuale venir meno di qualsiasi attenzione ai limiti e ai vincoli che incombono su chi sia stato alla testa di una Banca centrale. La tradizione ha un suo peso e la storia è comunque anche storia del presente. Detto ciò, nelle cronache, per il futuro di Draghi si citano, di volta in volta, il Segretariato generale della Nato, i vertici di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, la presidenza della Commissione europea o il Consiglio, altre prestigiose istituzioni finanziarie internazionali ed organismi di ricerca di alto livello, tenendo conto, però, delle diverse scadenze dei mandati di coloro che ora sono in carica, quella della Nato essendo l’incarico di più ravvicinata scadenza.

Naturalmente, è cosa diversa assumere una carica in istituzioni pubbliche nazionali, europee o internazionali dall’assunzione di un ruolo in una struttura privata. La separatezza in uscita, almeno per un periodo limitato, è sicuramente opportuna. Quanto all’entrata, un tempo, per la Banca d’Italia, vigeva la regola non scritta, purtroppo, sia pure solo parzialmente, non attuata di recente, secondo la quale nel Direttorio non avrebbero dovuto essere chiamate personalità provenienti dal sistema bancario, per ragioni facilmente intuibili. Per tornare a Draghi, è scontato che con il suo curriculum e con il suo prestigio sia in grado di trovarsi una carica da solo, come egli ebbe a dire in una conferenza-stampa. Ma non si deve immaginare che il mondo intero non abbia personalità con requisiti importanti per poter aspirare alle stesse cariche. E non si deve ritenere che sia ininfluente la posizione dei relativi governi su queste designazioni.

È alla luce di ciò che sono state diffuse indiscrezioni, poi seccamente smentite, su di una sorta “do ut des” di un Draghi mallevadore del futuro Governo presso le principali Cancellerie europee e di un “des” di sostegno per una delle cariche anzidette da parte del futuro Governo. Un “patto”, esplicito o implicito, che, se fosse stato vero, sarebbe andato a disdoro di entrambi. L’Esecutivo dovrà, invece, liberamente agire per valutare gli interessi nazionali e, poi, quelli europei al tipo di designazione e sostegno. Intanto, la migliora garanzia, il migliore lord protettore sarà il programma che il Governo Meloni riuscirà a proporre e le azioni concrete che seguiranno. Prima ancora lo sarà la compagine che sarà formata. Altro che pensare al ruolo di un “deus ex machina”.

Si potrebbe, qui, ripetere la frase celeberrima che per prima fu pronunciata da Einaudi: ”sta in noi”, ciò dovrebbe essere detto dalla nuova maggioranza, se ha la forza e la lungimiranza di dirlo. E la prima dimostrazione dovrebbe essere data sul gas, per gli aspetti strutturali e per quelli di queste ore, le bollette; per le misure nazionali e per quelle da proporre e sostenere in sede europea. Non servono i protettorati, servono i fatti.