Non è nato l’altra sera in un grande albergo di Roma, il nuovo Luigi Di Maio. Aveva fatto capolino giusto un anno fa -era il 28 maggio 2021 e stavamo faticosamente cercando di uscire dalla tragedia del Covid- dalle pagine del Foglio. Un testo inedito e inaspettato a sua firma, sovrastato dal titolo “Mai più gogna, chiedo scusa”. Chissà perché quella svolta da parte di un ex ragazzino nato con il movimento dei “vaffa” ma poi diventato vicepresidente della Camera e poi vicepremier e infine ministro degli esteri in due governi, non ebbe il rilievo politico che meritava.

Eppure, nelle sue parole di quel giorno, c’era già un programma, non sulla giustizia, ma su un futuro fatto di relazioni umane e di reciproco rispetto. Un mondo fatto di persone, prima di tutto, in cui il Parlamento non è una scatola di tonno da aprire e espugnare, dove i partiti non sono un’ accozzaglia di ladri delinquenti da annientare e la giustizia non è la sacra inquisizione chiamata a tagliare teste dopo sentenze mai sfiorate dall’ombra del dubbio. La svolta di un anno fa è stata espressa in modo chiaro due sere fa nell’albergo romano, quando Di Maio ha buttato lì: “Uno non vale l’altro”, così distruggendo l’intero programma politico del movimento di cui lui stesso è stato leader. E accantonando anche il se stesso che, ancora quattro anni fa, si esibiva sui social annunciando, con sprezzo nei confronti degli ex parlamentari, di aver “abolito i vitalizi”, e naturalmente non era vero, come era ridicola la pretesa di “aver abolito la povertà”.

L’abrogazione, nel nuovo corso, di quel finto e demagogico egualitarismo che era lo slogan “uno vale uno”, ha molto a che fare con il rispetto per gli altri. Oggi una deputata storica come Carla Ruocco, che ha scelto di tentare la nuova avventura politica con Di Maio, rivela (non ne aveva mai fatto cenno in passato) di non aver mai condiviso quel concetto, anche perché l’esperienza e la competenza sono importanti. Naturalmente sta parlando di sé, e non saremo certo noi a sospettare, insieme a Di Battista e altri piccoli uomini come lui, che dietro certe scelte ci sia il desiderio di ricandidarsi alle elezioni politiche tra un anno e possibilmente tornare in Parlamento anche alla terza legislatura, cosa vietata dal regolamento del Movimento cinque stelle. Non diremo mai la parola “poltrona”, proprio per una questione di rispetto. Se solleviamo l’argomento è per rimarcare due aspetti, il primo è che occorrono molto tempo e molta fatica per diventare bravi parlamentari, il secondo è che le ambizioni manifestate dai deputati e senatori di oggi potevano essere le stesse di quelli di ieri, della prima come della seconda repubblica. Quelli disprezzati dai “grillini”.

Se questo è il discorso sul rispetto, ed è la prima tappa necessaria per il cambiamento, il secondo è quello del dubbio, e ha molto a che vedere con la giustizia e il circo mediatico-giudiziario. E così arriviamo al giorno di un anno fa, quando Luigi Di Maio scrisse una lettera di scuse a Simone Uggetti, ex sindaco di Lodi, arrestato nel 2016 per turbativa d’asta, poi assolto nell’appello che andrà ricelebrato per volere della cassazione. Le scuse, sulla cui sincerità siamo disposti a scommettere, riguardavano le modalità con cui in occasione dell’arresto il Movimento cinque stelle, con la presenza a Lodi dello stesso Di Maio, aveva manifestato in piazza e condotto una vera campagna persecutoria sui social fino alle dimissioni del sindaco.

“Con grande franchezza vorrei aprire una riflessione –scriveva il ministro degli esteri- che anche credo sia opportuno che la forza politica di cui faccio parte affronti quanto prima”. Perché “Una cosa è la legittima richiesta politica (di dimissioni, ndr), altro è l’imbarbarimento del dibattito, associato ai temi giudiziari”. Di Maio porta anche altri esempi, oltre a quello di Simone Uggetti, come quello della ministra Federica Guidi e il processo Eni. Mostra di essersi preparato. Non tralascia di ricordare l’imbarazzo del suo partito quando, nello stesso periodo, fu indagato il loro sindaco di Livorno Filippo Nogarin. Ma tralascia la sospensione di Pizzarotti, sindaco di Parma, condotto alle dimissioni per un’informazione di garanzia per abuso d’ufficio in un procedimento che finirà archiviato.

Ma vien da chiedersi se la “riflessione”, partita da questi casi e allargata a principi generali, sia stata poi avviata, a partire da un anno fa, nel movimento di Beppe Grillo. Perché sono nobili, frasi come “esiste il diritto delle persone di vedere rispettata la propria dignità fino a sentenza definitiva e anche successivamente”. Ma è dovere di un deputato, soprattutto di un leader, dare sempre corpo alle parole. Finora non ci sono stati segnali. Ora forse Di Maio ne ha l’occasione. L’ex ministra Elena Boschi, con la pelle che ancora brucia per le offese ricevute da quelli del Di Maio che fu, ne saluta positivamente l’apertura “a un timido garantismo”. Aspettiamo il semaforo verde. Con l’ottimismo della volontà.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.