Adesso Mario Draghi scopre di avere un problema in maggioranza. E dalla parte dove meno te lo aspetti: quella sinistra, tra Enrico Letta e Giuseppe Conte. E tutto questo mentre il Financial Times proclama il premier italiano “l’uomo giusto al momento giusto” per dare quella svolta che serve all’Italia e all’Europa. E mentre il premier Sanchez, che è socialista, gli consegna a Barcellona uno dei più alti riconoscimenti riservati agli economisti. Quando si dice il tempismo.

«Ti sarà chiaro – ragionava ieri un deputato di destra – che il Pd e anche i 5 Stelle non vogliono Draghi al Quirinale». Non è questo il punto, incalzava un deputato del Pd. «Il punto, ancora più grave, è che un pezzo dei nostri è convinto che Draghi sia di destra e lo sta consegnando a Salvini che sabato va in piazza a ringraziarlo».
Sono i dettagli che vanno messi in fila in questa deriva che, purtroppo, non è solo figlia delle battaglie di posizione in vista delle amministrative. Ma, ancora più grave, raccontano di una sintesi tra Ds e Margherita che in fondo non è mai stata trovata. Il tweet del vicesegretario del Pd Beppe Provenzano è stato una doccia fredda. Giovedì l’ex ministro del Sud che Letta ha voluto al suo fianco al Nazareno, ha accusato il premier di selezionare i suoi collaboratori pescandoli da una parte sola.

Quella del “liberismo che già tanti danni ha fatto” alle nostre economie. L’occasione è stata quella di alcune nomine di esperti economisti che dovranno valutare, dal Dipe (Dipartimento del ministero delle finanze) l’impatto degli investimenti del Recovery plan. «A coordinare e valutare la politica economica nella più grande stagione di investimenti pubblici è opportuno chiamare gli ultras liberisti?», ha chiesto Provenzano indicando i nomi del professor Puglisi e del professor Stagnaro. Palazzo Chigi ha replicato stizzito che «in un governo che va dalla Lega a Leu ci devono stare tutti». E infatti i nominati sono diversi, di tutte le aree anche se forse non quelli più graditi a Provenzano. Letta pare abbia detto al suo numero 2 di farla finita con le piccole ma costanti imboscate. A margine si è impegnato anche Goffredo Bettini, l’uomo che più di tutti ha sussurrato all’ex segretario Zingaretti e a Giuseppe Conte quando era a palazzo Chigi per la famosa “alleanza strutturale Pd-M5s”.

In un’intervista al Corriere della Sera, Bettini parla di «cattolici democratici ricompresi nel campo alternativo alla destra». Insomma, c’è un centro che sta nel Pd e che guarda a destra che non può stare a sinistra, secondo l’analisi di Bettini. Sembra uno scioglilingua ma non lo è. Tanto che il professor Ceccanti, che viene, semplificando, dal retroterra culturale di quella sinistra Dc che poi andò nella Margherita e poi nel Pd, replica da par suo a Bettini. E lo mette di fronte a un bivio: «Caro Bettini, l’unità della sinistra e l’unità dei riformisti sono due schemi alternativi. Nel secondo ci sono le storie del Pd. Nel primo no. Spero che tu intendessi il secondo». Controreplica di Bettini: «Caro Professore, per me invece sono la stessa cosa». Cancellando così di un tratto le ragioni stesse che portarono alla nascita del Pd, cioè la separazione delle forze riformiste da quelle massimaliste di sinistra. Tutto questo è stato sviluppato da Bettini e Ceccanti con ragionamenti e analisi che richiederebbero ben più di un articolo. Il punto è che la linea di frattura tra riformisti e sinistra ha ripreso a dividere il Pd. E questo è un grosso problema per il governo Draghi.

Anche perché Giuseppe Conte non è da meno in questa dinamica di posizionamento. In settimana dovremmo finalmente sapere qualcosa di più del Movimento: chi è, con chi vorrà parlare, come si chiama, le regole. Finora si registrano molti ondeggiamenti. Uno su tutti: «Siamo a sinistra ma parliamo anche al centro e ai moderati». Che però è lo stesso pubblico di riferimento del Pd. Frutto di ondeggiamenti è anche la scelta della candidata alla regionali in Calabria: Maria Antonietta Ventura, imprenditrice e sicuramente liberal e una famiglia importante al suo fianco, tra imprenditori, appunto, e anche qualche rinvio a giudizio e sospetti di conflitto di interessi ancora tutti da dimostrare. Niente di strano. Non si capisce però perché Conte abbia bocciato il precedente candidato Nicola Irto, 40 anni e cresciuto politicamente nel Pd, e abbia preferito la signora. Misteri dell’alleanza Pd-M5s.

Ma torniamo a Conte e a Draghi. Il leader in pectore è appunto in attesa di essere anche lui convocato a palazzo Chigi da Draghi in quanto rappresentante della forza parlamentare numericamente più di peso. Nell’attesa le interlocuzioni che l’ex premier ha avuto con l’attuale premier non hanno brillato per empatia e complicità. Tutt’altro. Da febbraio a oggi i due si sarebbero sentiti ma solo perché Conte ha avuto da ridire sulle scelte del suo successore. Conte ha chiamato Draghi per spiegare perché il generale Vecchione (suo fedelissimo) non andava tolto dal Dis, il Dipartimento informazione e sicurezza, che è la cabina di regia della nostra intelligence.

Al posto di Vecchione è arrivata la diplomatica Elisabetta Belloni. Telefonata analoga è scattata quando Draghi due settimane fa ha nominato Scannapieco al posto di Palermo alla guida di Cassa depositi e prestiti. Cdp è stato in questi tre anni il braccio armato delle politiche economiche e degli investimenti pubblici del Conte 1 e 2. In via Goito Scannapieco ha trovato alloggi rifatti, servizio di hostess all’ingresso, insomma, un vero e proprio ufficio di rappresentanza. Un lusso insolito. Ma tant’è. Conte si è fatto sentire anche sul nodo dello sblocco dei licenziamenti. Per l’ex premier il blocco andava tenuto fino a dicembre. Nel frattempo andava finanziata la cassa integrazione in deroga. Un altro tema su cui Conte non è riuscito a incidere. Ora che diventa leader politico dei 5 Stelle, questo scontro lo porterà probabilmente in Parlamento. Dove una parte del Movimento non ha mai digerito l’ingresso nella maggioranza Draghi.

Difficile prevedere gli effetti della somma di queste due distinte operazioni di disturbo rispetto all’azione di governo. Probabilmente sono nulle. Per motivi nobili (Draghi è per tutti noi un’assicurazione) e meno nobili (nessuno vuole sciogliere la legislatura prima del 2023). Si capisce però perché da destra dicono: «Il Pd non vuole più Draghi al Quirinale». E nemmeno i 5 Stelle.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.