Il problema vero che la questione della Fondazione Open (e di altre) racchiude è politico e non può essere monopolizzato dalle toghe, alle quali toccherebbe anche stabilire cosa rientra nella tipologia del partito politico. Si deve cioè discutere del perché nel 2014 Letta abbia abolito il finanziamento pubblico ai partiti. Invece che alimentare il chiacchiericcio stucchevole sulle 13 domande, Letta e Conte dovrebbero rispondere a una sola questione: quando si riconciliano con l’ideale democratico per cui le organizzazioni non vivono di aria e le risorse pubbliche sono fondative di spirito pubblico, momenti essenziali anche per far valere il principio di eguaglianza?

Anche Conte, che pure si appresta a colpirlo con 13 domande, asserisce che la condotta del senatore Renzi nel reperimento di risorse economiche non è materia di diritto penale. E però, se così stanno le cose, il discorso andrebbe sviluppato in termini complessi per non approfittare delle scartoffie e colpire di nuovo la funzione politica. Per sciogliere il nodo viene in soccorso Hobbes a rammentare un principio giuridico irrinunciabile. «In assenza della legge, non c’è alcuna trasgressione della legge».

Hobbes, per mettere la faccenda ben in chiaro, asserisce anche che «prima dello Stato non era disonorevole fare il pirata» e che quindi senza norma non vale il canone del sospetto etico su una condotta. Il problema vero che la questione della Fondazione Open (e di altre) racchiude è politico e non può essere monopolizzato dalle toghe, alle quali toccherebbe anche, una volta promosse quali titolari di cattedre di politologia, stabilire cosa rientra nella tipologia del partito politico. Il più recente studio comparato sul finanziamento della politica dedica molte pagine all’Italia. La fatale legge di Letta del 2014 viene accostata alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti del 2010 che, equiparando le aziende e le ricche fondazioni alla libertà di parola e pensiero spettante agli individui singoli, rende illimitata la loro possibilità di finanziamento dei candidati.

La decisione di Letta è il compimento di una regressione antipolitica avviata da un best seller di Stella e Rizzo. Scrive Julia Cagé (The Price of Democracy. How Money Shapes Politics and What to Do about It, Harvard University Press, 2020) che «quando nel 2007 è stato pubblicato il libro La Casta, una nuova ondata di proteste – grande quasi quanto quella dello scandalo di Tangentopoli – aveva scosso il panorama politico italiano. L’inchiesta di due giornalisti del Corriere della Sera non era estranea all’impennata di popolarità di Beppe Grillo e del M5S, che si era presentato come un non-partito e chiedeva di eliminare il finanziamento pubblico della democrazia in Italia». Quando Stella e Rizzo, per annichilire le funzioni costituzionali dei partiti, sostennero che l’ammontare trentennale dei rimborsi alle formazioni politiche era «una somma più che sufficiente a realizzare la variante di valico tra Firenze e Bologna», sprigionarono l’estrema grettezza dell’operazione ordinata dalla Rizzoli. Alla pacchianata contabile si univa anche un marchio autoritario quando il duo celebrò la riduzione dei finanziamenti con un temerario inno ai forconi. La contrazione delle somme, scrivevano Stella e Rizzo, è stata «varata esclusivamente perché nelle piazze ormai scintillavano i forconi».

Il male che queste operazioni, vicine agli scintillanti forconi baciati come i simboli di una giustizia riparatrice, hanno prodotto sulla democrazia è irreversibile. E proprio da questa combinazione di marketing dell’indignazione e suggestioni autoritarie prende spunto il grillismo delle origini. Il M5S rifiuta qualsiasi forma di sovvenzione pubblica, incluso il rimborso delle spese di campagna elettorale, e sulla base di questa rinuncia, precisa Julia Cagé, «non doveva rispettare l’obbligo legale di trasparenza non avendo lo status formale di un partito. Poco inclini alla trasparenza, comunque, i Cinque Stelle non pubblicano la lista delle donazioni che ricevono oltre i 5.000 euro». Dal punto di vista teorico il problema dei costi della politica è stato impostato da Weber in maniera incontrovertibile. Le critiche alla politica come affare di “fannulloni” o di una “cricca” che espropria la bella società civile non allargano affatto lo spazio pubblico di deliberazione, aiutano semplicemente «il dominio di altre cricche più nascoste, più piccole e soprattutto più sfuggenti».

Ai partiti, dipinti come casta che si avvantaggia di sgravi fiscali e quindi secondo il linguaggio degli ineffabili Stella e Rizzo di «una sperequazione ributtante», sono subentrati negli anni partiti personali-aziendali, non-partiti microaziendali, partiti leaderistici che infittiscono l’opacità del potere, l’oscurità nel reperimento delle risorse. Il romanzo delle origini del M5S è tutto da scrivere. E sulle fortune elettorali del capitano Salvini, inserito da Bannon tra le persone più influenti del 2019, gli studiosi avanzano accostamenti espliciti a dinamiche internazionali.
L’avanzata dei sovranisti attinge certo dalla rabbia diffusa e però, sostiene Peter Geoghegan nel suo libro Democracy for sale (London 2021), essa «è anche sostenuta da reti di denaro oscuro e da centri di influenza nascosta, proprio come abbiamo visto in Gran Bretagna. Eserciti di sostenitori digitali diffondono la disinformazione attraverso Internet senza confini. Le regole elettorali, dove esistono, sono pronte per essere infrante». Queste parole valgono tanto per l’età antidiluviana di Grillo e Salvini.

Entrambi si affidano a bestie, centri di influenza, algoritmi, meccanismi di sorveglianza e di tracciamento resi disponibili dai giganti tecnologici per costruire sostegno. I sovranisti e i populisti sono variamente affiliati a reti di influenza dalla ramificazione internazionale. Precisa Geoghegan: «Il nesso globale di denaro nero e disinformazione politica è parte di una guerra crescente contro i principi fondamentali della democrazia. Nazionalisti e xenofobi dall’Italia all’Ungheria hanno attinto ai circuiti internazionali di influenza e denaro. Questa manipolazione elettorale è diventata transnazionale e globale». Sorprende che a sollevare questioni etiche sia Conte, il capo di un movimento che nasce e si sviluppa grazie all’uso improprio della tecnologia e quindi si pone in esplicita contrapposizione con la rappresentanza democratica. «All’inizio del 2020, nuovi documenti hanno rivelato che la portata dell’operazione di Cambridge Analytica era molto più grande di quanto stimato in precedenza, estendendosi a 68 paesi nel mondo. L’ex dipendente di Cambridge Analytica Brittany Kaiser ha affermato che le e-mail mostravano come i principali donatori di Trump discutessero i modi per oscurare la fonte delle loro donazioni attraverso i più diversi veicoli finanziari. Lo stesso meccanismo di dark money, ha detto, è stato utilizzato in altri paesi in cui Cambridge Analytica ha lavorato, compreso il Regno Unito. L’interferenza elettorale probabilmente peggiorerà, non migliorerà».

Si pongono problemi di privacy, di protezione dei dati, di controllo delle reti di internet insieme a grandi temi politici che evocano la regolazione dell’incidenza del denaro nella democrazia. Il tema è classico (già Weber lo segnalava: «le finanze di partito costituiscono il capitolo meno trasparente, per motivi comprensibili, della storia dei partiti, e tuttavia uno dei più importanti»). E però si declina in termini specifici nel contesto post-classico. Con il decreto varato da Letta nel 2014 è stato reciso ogni sostegno pubblico diretto ai partiti e da quel momento la loro riproduzione finanziaria è precipitata entro uno stato di natura in cui, fallito il sistema del due per mille, dominano l’illecito, l’opacità (istituto delle donazioni, che in media sono 1900 ogni anno) e una estensiva interpretazione della categoria di fondazione. La decisione di Letta, partorita per accarezzare i grillini, è quanto di più estraneo ci sia a una cultura politica della sinistra: essa amplifica il peso delle donazioni private e dunque l’influenza dei gruppi di interesse.

Da apprendista stregone, l’antipolitico Letta per dialogare con i grillini ha preparato le condizioni per il disastro democratico. Lo ricorda Julia Cagé: «Nelle elezioni del 2018, per la prima volta dal 1974, i partiti politici italiani hanno dovuto arrangiarsi senza più sovvenzioni dirette e senza alcun rimborso delle spese per la campagna elettorale. Certo, questo dato da solo non può spiegare la vittoria dei partiti estremi alle elezioni di marzo, ma possiamo comunque notare che la Lega ha ottenuto il 17,4% dei voti e concluderne che questo nuovo mondo della politica, ancora meno regolamentato, è di per sé discutibile?». Con il congegno di Letta, in nome dei cittadini che non vedono più i partiti frugare nelle loro tasche alla ricerca di denaro, il potere politico della ricchezza è accresciuto e quello del lavoro declinato.

Giustamente Julia Cagé rimarca i connotati di classe delle scelte legislative italiane a favore del sistema di finanziamento privato o anche del pronunciamento della Corte Suprema americana per cui con una erogazione anonima nel 2016 i super Pacs hanno speso più di 1,4 miliardi di dollari in campagne politiche. «Sarebbe bello sentire le classi lavoratrici protestare di più contro il deficit di rappresentanza di cui sono le prime vittime, perché quando il gioco è “un euro, un voto” i lavoratori sono i perdenti fin dall’inizio. Ma il fatto che i partiti politici abbiano abbandonato la lotta di classe sul terreno economico significa che la cinghia di trasmissione delle rimostranze dei lavoratori si è ormai rotta. Come nel film di Antonioni Il Grido, la classe operaia è caduta nel silenzio, condannata a rinunciare a ciò che ha e a perdersi in una sorta di deriva senza scopo. Quando non viene semplicemente sfrattata, si ritrova divisa e segregata sia geograficamente che educativamente» (p. 40).

In nome della gente, del cittadino è stato impiantato un sistema regressivo. La rinuncia italiana a destinare qualsiasi denaro pubblico per la politica rafforza il peso degli interessi privati. Ricorda Julia Cagé: «il 2 per mille rende ai partiti una cifra irrisoria (appena 0,31 euro all’anno per adulto) in confronto a quanto veniva destinato attraverso il finanziamento pubblico; questo non può essere considerato un sistema serio per il finanziamento pubblico della democrazia. In Francia, Germania e Spagna (anche prendendo in considerazione solo le sovvenzioni dirette e tralasciando il rimborso per le spese relative alla campagna elettorale) le spese ammontano rispettivamente a 1,32, 2,39 e 4,20 euro per adulto, cioè sono dalle quattro alle quattordici volte più che in Italia. Come fanno i partiti a sopravvivere con così pochi fondi pubblici? La risposta è fin troppo evidente: devono andare a bussare alla porta degli interessi privati».

Prima di rifugiarsi nell’etica per censurare il loro nemico, il M5S e il Pd farebbero bene a riflettere sulle conseguenze distruttive della legislazione antipolitica. Invece che alimentare il chiacchiericcio stucchevole sulle 13 domande, Letta e Conte dovrebbero rispondere ad una sola questione: quando si riconciliano con l’ideale democratico per cui le organizzazioni non vivono di aria e le risorse pubbliche sono fondative di spirito pubblico, momenti essenziali anche per far valere il principio di eguaglianza?