Beppe Grillo torna in scena, affacciandosi sulla piazza del nuovo Vaffa, cercando per sé almeno un applauso. «Ci vogliono tamponi gratis per tutti», dice. Ma non attacca: ai No-green pass non basta. E il guru del Movimento non fa più presa. Aveva dato voce alla protesta anti-casta, adesso rappresenta un partitino minore dato in gestione a un uomo dell’establishment sul cui collega di studio, Luca Di Donna, si è abbattuta una inchiesta giudiziaria vastissima. Grillo aveva preteso una legge sul traffico di influenze, ed ecco che l’accanimento del fato rivolge la stessa fattispecie contro i vertici del Movimento, ormai in subbuglio.

L’idea dei tamponi gratuiti di Grillo non ha gambe, ma serve come ballon d’essai. Strizza l’occhio ai no vax, ma pochi, a parte Matteo Salvini, gli vanne incontro: «Bella proposta, meglio tardi che mai». Salvini a parte, è un coro generale di no. Perfino un ex grillino come il deputato e medico Giorgio Trizzino, ora al misto, lo boccia sonoramente. È scettica la maggioranza, con Draghi che non gli replica neanche e il Pd che fa rispondere al comico dal suo corregionale ligure, il ministro del Lavoro Andrea Orlando, che chiude ogni spiraglio: «Far diventare il tampone gratuito significa dire sostanzialmente che chi si è vaccinato ha sbagliato», taglia corto il ministro. «Io sono contrario ai tamponi gratuiti – ribatte Renzi contro il comico – in Italia di gratuito c’è il vaccino. Se tu non ti vuoi vaccinare, non puoi pensare che paghiamo con le nostre tasse il tampone a chi, in nome di ideologie antiscientifiche, pretende un tampone gratuito ogni 48 ore. La pacificazione si fa rispettando la scienza».

Grillo è agitato. Chi lo conosce lo dipinge con il cuore in gola per tutte le sue creature. Il Movimento è irriconoscibile, svuotato. E anche sul figlio naturale Ciro, che tanti grattacapi gli ha dato, le notizie non sono buone. Il rumors più accreditato è che la difesa congiunta di tutti i ragazzi coinvolti nel caso del presunto stupro stia convergendo verso una richiesta di rito abbreviato. Via un terzo della pena in caso di condanna e subito a giudizio con il materiale – invero, scarso – che il giudice ha in mano. Salterà tutta quella fase dibattimentale che si sarebbe trasformata in un patibolo mediatico insostenibile. Beppe Grillo sa di dover tenere basso il profilo e alto lo sguardo, per cavarsela almeno lui. Sotto i riflettori il Movimento rimane peraltro già a Roma, dove si vota tra quattro giorni e Virginia Raggi gigioneggia con il centrodestra. I contatti tra lei e Giorgia Meloni si sarebbero fatti quotidiani, ci viene detto. L’ex sindaca non si dà per vinta, anzi: rilancia. E ieri ha riunito i suoi in una assemblea riorganizzativa del partito su Roma. Ha perso, si dirà. E ha perso male. Ma in un 5 Stelle al lumicino, la doppia cifra cui è arrivata Raggi diventa un barlume di speranza tale da autorizzare i suoi a contarsi – non per formare una corrente, per carità – ma per organizzare “una attività di opposizione in Campidoglio”.

E così a chi gli chiedeva di allinearsi alla scelta di Conte, da cui il Pd di Letta pretende un esplicito appoggio per Gualtieri, Raggi risponde pan per focaccia. «Apriremo sedi fisiche del M5s nei diversi quadranti di Roma», dichiara. «Si vuole tenerla alla testa del Movimento con un ruolo di mediazione. C’è una parte del Movimento che ha incrinato la sua fiducia, lei può essere l’elemento che porta quell’amalgama che adesso manca», ci riferisce una fonte a lei molto vicina. E dunque ecco la corrente Raggiante, quella che può rimettere insieme Di Battista, Lezzi, Morra e quanti con loro si sono posti ai margini o al di fuori del Movimento. Una corrente che può giocare un ruolo di pungolo verso Giuseppe Conte – oggi nel suo momento di massima debolezza – e riportare in campo lo stesso Grillo. Così quando Virginia Raggi ieri arringava i suoi: «Servono sentinelle sul territorio», sembrava alludere più ai centurioni di Beppe che ad attivisti nelle fantomatiche future sedi nei quartieri della Capitale.

Dove il M5s non entrerà in un’eventuale giunta capitolina a guida Pd – o almeno non darà il suo appoggio agli alleati dem prima del voto con questo fine – ma con Conte che, dice, “sa da che parte stare”, guardando con simpatia a Gualtieri in virtù degli accordi presi con Enrico Letta, mentre Raggi fa i toni duri e chiarisce che sin da subito incarnerà lei l’opposizione, mettendo così destra e sinistra sostanzialmente sullo stesso piano. Prova a soffiare sul fuoco e a incassare le simpatie degli insofferenti. Anche se l’ipotesi di Gualtieri sindaco, viene fatto filtrare dalla riunione di ieri sera dell’area Raggi, converrebbe molto alla sindaca uscente. Se ci fosse un nome da spendere da parte del Movimento per il posto di deputato da ricoprire nel collegio di Roma centro, liberato da Gualtieri, sarebbe proprio Virginia Raggi a rivendicarlo. Nelle trattative coperte di queste ore si guarda già ad un avvicendamento.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.