L'escalation di violenza
Guardare ma non toccare, chiesa e politica firmano patti contro la violenza ma non si avvicinano ai giovani…
Nelle ultime settimane la cronaca napoletana ha mostrato un’escalation di violenza senza precedenti tra i più giovani. Ragazzi che si accoltellano senza motivo o con pretesti che vanno al di sotto del livello della banalità. Amici che diventano nemici per un post su Instagram, per una sigaretta non offerta, per uno sguardo di troppo. Dalle spiagge di Posillipo ai palazzoni di Ponticelli: è una guerra senza quartiere o distinzione di ceto sociale.
È una generazione intera che nei due anni di lockdown ha smarrito la capacità di esprimere le proprie emozioni senza il filtro della realtà e che adesso agisce senza pensare alle conseguenze. Come fermare questa violenza quotidiana? A riguardo si discute tanto, tantissimo. Forse troppo e anche in maniera troppo lenta e scontata. Ne parla la politica, ne parla la chiesa, ne parla la scuola, ne parla chiunque, senza che a parlarne siano i ragazzi. Forum, convegni, tavoli, sedie, sdraio, poltrone: l’impressione è che chi ragiona proponendo certe soluzioni stia comodissimo, nonostante il dramma di queste ultime settimane. Si affronta il problema stando a debita distanza da quest’ultimo e, soprattutto, cosa assai più grave, senza ascoltare i ragazzi.
Quelli che dovrebbero essere i protagonisti di questi accordi vengono messi in un angolino, a fare da sfondo, senza avere la possibilità di dire la propria, senza spiegare il perché di certi comportamenti. Se al centro del dibattito non ci fossero il sangue e la carne maciullata di minorenni, verrebbe da pensare di vivere uno dei tanti film “alla Muccino”, in cui tutta la trama si basa sull’incapacità di comunicare tra genitori in crisi di mezza età e figli capricciosi. Ma la realtà di Napoli non è un film e i patti (poco) chiari portano ad una agonia lunga. A chi giova tenere aperte le scuole anche di pomeriggio in una città in cui il tasso d’abbandono scolastico è tra i più alti in Europa?
A quelli che devono portare avanti il progetto o a chi dovrebbe usufruirne? Ci sono dozzine di parrocchie che provano ad arginare il problema con centinaia di attività, ma per ogni oratorio aperto a tutti ce n’è uno che allontana i ragazzi più difficili: don Mimmo Battaglia, Vescovo di Napoli, ne è consapevole o nonostante la sua grande compassione verso gli ultimi non se n’è ancora accorto? E a cosa serve limitare la vita notturna, additare la movida come “il” problema, quando questi adolescenti si affrontano in pieno giorno, in spiaggia, al calcetto, a scuola, davanti a tutti? Se si scontrano da sobri diventa chiaro che il problema non sono né l’alcol, né la droga: ad annebbiarli è l’incapacità di relazionarsi.
Una possibile soluzione? Aprire nuovi spazi, fisici e virtuali, di ascolto reale, dove il confronto non è solo unidirezionale e dove a decidere sono anche i protagonisti di certi progetti. Ci siamo abituati a sentire in tante campagne elettorali che i giovani sono il futuro, ma Napoli è tra le città più giovani nella regione più giovane d’Italia. I dati Istat sullo spopolamento cittadino parlano di quasi 30mila abitanti nell’ultimo anno. Se questi ragazzi non li si ascolta, se non li si pone al centro di qualsiasi azione politica, sociale e culturale, allora non ci sarà futuro. Né per i giovani e né per Napoli.
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