I cosiddetti “decreti sicurezza” hanno un profilo doppio. Il primo, tronfio, è quello visibile già nel titolo e mira appunto a soddisfare retoricamente il bisogno di sicurezza di una società cui si è spiegato che deve sentirsi insicura perché qualche barcone di disperati approda da noi. Il secondo è più nascosto ed è anche più odioso: ed è un profilo discriminatorio di stampo etnico-razziale.
A chi si applicano infatti gli aggravamenti di pena, le limitazioni della libertà personale e di movimento e le riduzioni dei diritti comuni che quei decreti hanno introdotto? La puoi girare come vuoi, ma si applicano a gente con la pelle diversa dalla nostra. Hai un bel dire che in quei provvedimenti non c’è scritto che i negri rischiano cinque anni di galera se insultano un poliziotto o che devono essere stipati per mesi in un casermone nell’attesa che il ministro decida se sono stati torturati abbastanza nel Paese di origine: ma di fatto i migranti sono quelli lì, e sono loro a essere esposti alla dura novità di quelle norme.

Un Paese che ha avuto i nostri problemi (chiamiamoli così), e cioè un Paese che ha scritto e applicato leggi razziali, dovrebbe sorvegliare con un supplemento di attenzione la propria attività normativa. E dovrebbe avvertire il pericolo implicato nella creazione di un diritto particolare, di fatto rivolto al trattamento di una categoria di persone inevitabilmente contrassegnate per ragione di razza, provenienza geografica o condizione sociale. Questi sono migranti, sono neri e hanno fame. Vengono qui e si trovano sottoposti a delle leggi fatte apposta per loro: sbagliano se pensano di esservi sottoposti perché sono neri e hanno fame? A me pare che non sbaglino. Conosciamo bene la risposta di questo legislatore inconsapevolmente (inconsapevolmente?) razzista. Dice: se ti comporti bene, qualunque sia il colore della tua pelle sei a posto. Ma non è così, perché essere neri e aver fame è già una colpa se è vero, come è vero, che io organizzo delle leggi apposta per te che non hai nulla di diverso da me tranne il fatto che sei nero e hai fame. Ed è inutile obiettare che quelle norme si applicherebbero identicamente a uno svizzero o a un giapponese, perché i migranti sono questi altri.

Poi si può anche decidere che non è un problema, e che siccome siamo messi in pericolo da gente nera e affamata bisogna fare leggi contro quella gente. Ma che ordinamento ne viene? È la storia delle statistiche secondo cui il tasso di criminalità è più alto tra i migranti, cosa che se pure fosse vera non giustificherebbe – almeno in un sistema civile – una normativa appositamente dedicata: perché a sorreggerla sarebbe una causa di imputazione che non risiede più nella commissione dell’illecito ma nella razza di chi lo commette.  E forse non sorprende, ma sicuramente fa vergogna, che tutto questo maturi nel trionfo del rosario esibito in comizio e col lasciapassare del prosieguo progressista in debito di consenso.