Un uomo della esperienza e della qualità politica di Goffredo Bettini non può certamente pensare che il suo invito al Partito Democratico di “non lasciare alla destra populista” l’iniziativa referendaria targata Matteo Salvini, possa seriamente ricevere ascolto. Quella iniziativa è stata concepita ab origine come un appalto blindato alla Lega di Salvini, unico partito – per come saldamente e tradizionalmente strutturato sul territorio – obiettivamente in grado di raccogliere ben più delle 500mila firme necessarie nel volgere di poche giornate di mobilitazione estiva. Dalla scelta dei quesiti, alla loro elaborazione tecnica, alla organizzazione della imminente campagna di raccolta delle firme, la natura esclusiva dell’accordo Partito Radicale-Lega è sotto gli occhi di tutti. Salvini ha pubblicamente promesso un milione di firme, come evidente prova di forza -anche ed anzi soprattutto a destra- del suo movimento politico. Dunque è semplicemente impensabile che il Partito Democratico prenda in considerazione l’idea di una qualsivoglia comprimarietà, comunque declinata, e Bettini lo sa benissimo.

Tutto ciò, tuttavia, non toglie nulla alla importanza ed al coraggio di quelle parole; le quali giungono, non credo casualmente, dopo la desolante dichiarazione del segretario del PD Enrico Letta. Questi, non sapendo come orientare il proprio partito sulla strada dell’abbandono della stagione populista e giustizialista a guida grillina intrapreso dalla Ministra Cartabia, spara a casaccio la raccapricciante alternativa tra giustizialismo ed “impunitismo”. Immaginavamo ormai definitivamente tramontata e consegnata ad un già lontano passato questa vieta abitudine politicista di eludere le scelte mediante il ricorso ad espedienti retorici frustri e vuoti. Qui poi siamo largamente al di sotto del già mediocre standard, chessò, di un “né con lo Stato né con le BR”, che i miei coetanei ricorderanno. Lì almeno i due corni del dilemma erano ben chiari, mentre – spiace per l’on Letta – impunitismo non significa un bel nulla. Nelle intenzioni del leader del PD, l’impunitismo parrebbe essere una sorta – per restare nel mondo delle parafrasi- di malattia infantile, ma forse, meglio, paracula, del garantismo. L’invocare il garantismo per assicurarsi l’impunità.

Ora, premesso che non si comprende a chi esattamente l’on. Letta stia facendo riferimento (individui, partiti politici, consorterie, Berlusconi?) converrete con me che qualunque idea, anche la più nobile, può essere invocata strumentalmente, per fini che non appartengono alla idea invocata. Posso fare campagne ambientaliste per fare denaro con le mie imprese di energia alternativa, ma cosa ha a che fare questo con l’ambientalismo? L’alternativa secca, pur necessariamente depurata da eccessi di semplificazione, è tra chi, in tema di giustizia penale, pone al centro delle priorità la libertà ed i diritti della persona, e chi invece la potestà punitiva dello Stato. O altrimenti, se non sono stato chiaro, tra chi concepisce il diritto penale come statuto del reo, e chi come armamentario punitivo dello Stato. Sono due mondi diversi ed opposti, che si riflettono a loro volta sulla idea del processo penale: luogo di esclusiva valutazione della responsabilità personale per i primi, luogo di soluzione o comunque regolazione dei conflitti sociali (terrorismo, mafia, corruzione) per gli altri.

Goffredo Bettini, non a caso figlio di un avvocato penalista, come sempre orgogliosamente rivendica, sa bene che la gran parte dei suoi compagni di strada e di militanza politica sentono il proprio cuore battere sul terreno dei secondi. E mentre il suo segretario si trastulla con questa insensata bufala dell’ “impunitismo”, lancia il suo grido di allarme.
Si respira – tra mille incertezze e contraddizioni, intendiamoci – un’aria nuova nel Paese, davvero vogliamo rimanere impelagati – dice in sostanza Bettini – nelle sabbie mobili della idiosincrasia verso il garantismo di matrice liberale, e di quel rapporto ancillare con la Magistratura italiana che rende quasi impronunciabile la parola “separazione delle carriere”, cioè il sistema ordinamentale della magistratura più diffuso nel mondo democratico occidentale? Possiamo essere così ottusamente testardi nella difesa di questo nostro tradizionale posizionamento, da lasciare la nobile bandiera del garantismo liberale a quel furbacchione di Matteo Salvini, che ha appena finito di citofonare in favore di telecamera a casa di presunti spacciatori nordafricani ed ora, con grande fiuto politico, mette senza riserve la faccia ed il simbolo della Lega al fianco della storia referendaria radicale?

Tutti i garantisti e gli autentici liberali di questo Paese devono dare il benvenuto a chiunque imbracci la bandiera delle libertà e del Diritto, a cominciare da Matteo Salvini, e senza interrogarsi sulle ragioni di quell’approdo. Ma gli amici del Partito Democratico farebbero bene a riflettere sulla sortita di Goffredo Bettini, che si colloca ben al di là della contingenza referendaria. Non sarebbe una buona idea quella di fingere di non averlo compreso.

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