L'intervento
Il modello Lega funziona, ma non in Campania

Tre esponenti della Lega ai primi tre posti. Otto esponenti del centrodestra nei primi dieci. Le classifiche di popolarità dei governatori regionali recentemente pubblicate dal Sole 24 Ore parlano chiaro, mostrando il marcato consolidamento di tendenze già note, con qualche variazione su cui i mesi agitati dall’epidemia di Covid-19 hanno certamente influito: come si nota dal consenso semi-plebiscitario ottenuto da Luca Zaia, che rafforza il suo primato di governatore più apprezzato davanti a Fedriga (Friuli) e alla new entry Tesei (Umbria); e viceversa dal sensibile calo di approvazione per il governatore della Lombardia Attilio Fontana, sceso al tredicesimo posto.
Alla radice di tale dominio indiscusso stanno in primo luogo due fattori: da un lato, la sperimentata e pragmatica competenza della classe dirigente locale leghista, volta a favorire al massimo le categorie produttive; dall’altro, la crescita del centrodestra che si manifesta quasi ad ogni consultazione locale da due anni a questa parte, per effetto di una diffusa, profonda insoddisfazione dell’elettorato riguardo alla crisi economica e ai temi di sicurezza e immigrazione. Non a caso, l’esponente della sinistra che tallona più da vicino i governatori leghisti nell’attuale graduatoria è Stefano Bonaccini, che si avvicina per molti versi al loro approccio, distaccandosi largamente dall’impronta nazionale del Pd. Molti osservatori si sono stupiti della posizione relativamente bassa, rispetto alle aspettative, occupata oggi in questa classifica dal governatore campano Vincenzo De Luca, solo undicesimo.
Tale stupore è dovuto non soltanto alla percezione generalizzata di un consenso personale solido e largamente bipartisan maturato da De Luca negli anni, ma anche alla leadership energica da lui esercitata nei mesi dell’emergenza Covid, che aveva indotto a pensare che la sua popolarità già elevata toccasse ormai punte quasi unanimistiche. In effetti, l’ex sindaco di Salerno si era posizionato in passato alla vetta del gradimento tra i capi degli esecutivi locali essenzialmente proprio perché veniva percepito come una sorta di versione meridionale del “modello Lega”: approccio securitario da un lato, molto attento ai dati economici dall’altro. Naturalmente all’imitazione di quel modello in Campania mancavano due condizioni essenziali: l’ammontare del Pil garantito da industria e terziario territoriali, e l’autonomia finanziaria dei servizi pubblici essenziali.
Mancanze a cui De Luca ha sopperito – sulle orme, a suo modo, di Antonio Bassolino – concentrando su di sé la gestione dei fondi provenienti dall’Ue e negoziando abilmente con i governi nazionali tempi e modi del risanamento di settori in perenne affanno: come i trasporti e soprattutto la sanità, dove in qualità di commissario De Luca ha proseguito efficacemente l’opera iniziata dal suo predecessore di centrodestra Stefano Caldoro. Proprio la preoccupazione per la tenuta del fragile sistema sanitario regionale ha probabilmente giocato un ruolo decisivo, nei mesi scorsi, nello spingere il governatore campano ad una linea particolarmente drammatizzante nella gestione dell’epidemia da coronavirus, portando all’estremo la sua già rilevante tendenza a prese di posizioni roboanti e talvolta provocatorie: fino a configurare un vero e proprio regime personale di stampo paternalistico-salutista. Nei momenti di maggiore paura per il contagio quella strategia arrembante gli ha procurato sicuramente una notevole, ulteriore crescita di consenso.
Ma la prolungata sovraesposizione mediatica e personalizzazione del problema ha fatto anche sì che il suo personaggio pubblico si spingesse spesso pericolosamente nel campo dell’auto-caricatura, e cominciasse a generare assuefazione prima, insofferenza crescente poi, per l’invadenza inusitata di un’autorità esecutiva locale nella vita privata e sociale dei cittadini, così come nell’esercizio delle attività imprenditoriali e professionali. Quando poi, parallelamente allo spegnersi dell’epidemia, la crisi economica ha cominciato a far sentire sempre più chiaramente i suoi morsi, e il blocco quasi totale del turismo ha cancellato quella che era diventata nell’ultimo decennio una voce determinante nel bilancio della regione, l’energica autorità “paterna” di De Luca è stata percepita in misura crescente più come una palla al piede che come una garanzia rassicurante da parte dei ceti produttivi, dalle libere professioni, dall’elettorato giovanile urbano.
Non deve sorprendere, dunque, il fatto che la popolarità del governatore, pur mantenendosi largamente superiore al consenso ottenuto alle urne nel 2015, sia attualmente meno “bulgara” (senza nessuna allusione al caso del focolaio Covid di Mondragone) di quanto la sempre maggiore centralità conquistata dalla sua figura lasciasse prevedere. Né il fatto che alle prossime elezioni regionali il centrodestra abbia scelto di ricandidare contro di lui proprio Caldoro. Per un complesso gioco di mediazioni, certo, tra le diverse anime della coalizione. Ma probabilmente anche perché l’esponente di Forza Italia, nel carattere e nello stile, è la perfetta antitesi di De Luca, presentandosi come una “forza tranquilla” fondata su equilibrio e competenza. Per questo motivo, nella difficile situazione della crisi post-pandemica, egli ha qualche chance di presentarsi alle fasce più irrequiete e scontente dell’elettorato come una credibile alternativa allo “sceriffismo” deluchiano in nome del ritorno ad una piena normalità e della ripresa economica.
© Riproduzione riservata