Perché il presidenzialismo in Italia e soltanto in Italia provoca delle reazioni profonde e con un alito da guerra civile? La ragione è semplice: la nostra Costituzione è stata concepita fondamentalmente per impedire che un nuovo Mussolini, o anche semplicemente un uomo dalla soverchiante personalità e capacità, potesse far ripetere all’Italia qualcosa di simile a ciò che era accaduto fra il 1922, quando Mussolini ricevette l’incarico di formare un governo di coalizione e il gennaio del 1926 con la disfatta dei deputati e senatori che per due amni si erano ritirati per protesta dell’Aventino.

La dittatura fascista in Italia fu una curiosa dittatura costituzionale, dal momento che il re come capo dello Stato fu coautore e complice di tutti gli atti del suo “capo del governo” (questa era la dizione usata) comprese le leggi razziali del 1938 e la partecipazione alla guerra tedesca. Anche l’epilogo della dittatura fu un unico nella storia. Il fascismo cadde formalmente e realmente in seguito ad un voto di sfiducia di un organismo costituzionale quale era il Gran Consiglio del Fascismo già incorporato nello Statuto Albertino. La guerra era stra-persa all’inizio dell’estate del 1943 e Mussolini era andato a incontrare Hitler per dirgli che non aveva più armi né mezzi, e chiedergli pezzi della contraerea perché era imminente il già annunciato (con la lanci di volantini) bombardamento su Roma. Hitler rispose che non poteva certo privare il suo esercito delle armi per difendere Roma e che se l’Italia si fosse arresa lui ne avrebbe compreso le ragioni ma avrebbe proceduto all’occupazione.

Il bombardamento avvenne il 19 luglio con aerei corazzati come navi e ben armati, dunque senza scorta di caccia, ed emerse la totale inabilità dell’aeronautica italiana di avvicinarsi ai bombardieri americani. Quello fu il momento atteso da Vittorio Emanuele e dai gerarchi dissidenti per presentare un ordine del giorno da discutere e votare con cui si sarebbe restituito al re il comando militare delle forze armate, esautorando Mussolini, il quale si presentò al Gran Consiglio depresso, con l’uniforme spiegazzata, con momentanei scatti d’ira, ma rassegnato. L’ordine del giorno passò, a tarda notte il duce tornò a Villa Torlonia rimproverato dalla moglie Rachele che gli dette dell’imbecille per non essersi comportato come avrebbe fatto Hitler, e al risveglio si vestì in abiti civili per andare a Villa Savoia dal re cui intendeva spiegare che non era successo nulla di grave, soltanto un malinteso.

Quando fu al cospetto del re e prima che potesse dire qualsiasi cosa il sovrano gli annunciò di averlo sostituito con il maresciallo Pietro Badoglio. Mussolini cadde di nuovo in una profonda depressione accasciato su un divano di vimini coperto di cuscini estivi. Chiese che ne sarà dei miei cari e il piccolo re gli disse di star tranquille, era già stata salvaguardata l’incolumità di tutti compresa la sua, di Mussolini, per il quale era pronta un’ambulanza piena di carabinieri per portarlo in un luogo sicuro, tacendo sul piccolo dettaglio che Mussolini era agli arresti. Il resto della storia non riguarda il tema del presidenzialismo ma quello che era accaduto all’inizio, durante la fine della dittatura costituzionale (ci fu poi il supplemento di dittatura repubblicana a Salò in cui Mussolini fui una marionetta di Hitler nell’Italia occupata) che era stata reale: nessun colpo di Stato all’inizio – la marcia su Roma del 1922 fu una fragorosa manifestazione di piazza concordata con la Corona – e nessun vero colpo di Stato alla fine – benché si trattasse evidentemente di un complotto – perché il fascismo italiano cadde su un voto di fiducia.

Quando si scrisse la nuova Costituzione l’Italia era sottomessa al potere politico e civile del principe Eugenio Pacelli col nome di Pio XII e poi al potere politico di chi aveva vinto la guerra: gli Stati Uniti rappresentati dalla Democrazia Cristiana e l’Unione Sovietica rappresentata dal Partito Comunista e anche dal Partito Socialista. Il risultato fu una Costituzione costruita in modo tale da scoraggiare o impedire l’avvento di qualsiasi leader dotato di un proprio potere personale. Si potrebbe dire che la nostra Costituzione è costruita con la mentalità delle regole del poker. Un gioco in cui teoricamente non puoi mai essere sicuro di avere in mano il punteggio più alto perché esiste sempre la possibilità di un punteggio maggiore del tuo. La dizione italiana “presidente del Consiglio dei ministri” non esiste in alcun’altra democrazia del mondo. Essa significa che il capo del governo è una specie di presidente dell’assemblea condominio che ha avuto l’incarico di trovare una maggioranza con cui formare un governo.

Un “presidente del Consiglio” (che non è un “capo del governo”, non è un “premier” o primo ministro non ha alcun potere di nominare o revocare ministri. Può proporli: va dal capo dello Stato e gli dice: Signor Presidente, avrei compilato, alla buona una lista di persone che mi sembrerebbero adatte. “Vedere?”, chiede il capo dello Stato non eletto dal popolo ma da un Parlamento che nel frattempo, è forse anche andato a casa. Riflette e poi dice: questo va bene, anche questo ma quest’altro non mi pare all’altezza e lo sostituirei con questo nome fidatissimo. E poi, andando più giù…. Questo accade in modi e tonalità diversi secondo l’umore e la personalità dei capi dello Stato. Nella preistoria della Repubblica erano tutti democristiani, sia il capo dello stato che del governo. I democristiani avevano bisogno di piattezza assoluta perché il loro patto interno prevedeva la rotazione degli scialbi e degli indifferenti.

Gli italiani una mattina accendevano la radio per il radiogiornale e apprendevano che questa mattina l’onorevole Mariano Rumor si è recato al Quirinale per rassegnare le dimissioni da Presidente del Consiglio dei ministri. Era tutto in famiglia. Sotto un altro. All’estero ridevano di noi, sbagliando: era sempre lo stesso governo di un unico organismo multicefalo in cui si praticava il rito voodoo dell’alternanza: un giorno a te, un giorno a me. I guai cominciarono quando politici non democristiani come Giovanni Spadolini o Bettino Craxi imposero che la Dc cambiasse gioco e cedesse occasionalmente la poltrona di Palazzo Chigi.

Ricordiamo benissimo che cosa accadde in Italia quando fu chiamato in servizio il generale Charles de Gaulle che quasi da solo aveva fatto la resistenza ai tedeschi piazzandosi a Londra dove non era simpatico a nessuno. Successe il finimondo in casa democristiana dove capirono che un sistema del genere avrebbe fatto a pezzi il potere della Dc. Una carovana di politici si mise in viaggio verso Colombay-Les-Deux-Eglises per chiedere al generale se avesse potuto scrivere una nuova Costituzione. Fu allora creata la storiella del collaboratore di De Gaulle che disse “Bisognerebbe fucilare tutti gli imbecilli” e De Gaulle sovrappensiero che rispose “Vasto programma”. Cominciò così la Quinta Repubblica che funziona – rispetto alla nostra – in maniera splendida e non troverete un solo francese, non importa quanto di destra o di sinistra, che abbia il minimo rimpianto per la vecchia Repubblica che era più o meno come la nostra attuale.

All’Eliseo si alternano conservatori come Giscard e progressisti come Mitterrand e in più, oltre al Presidente che governa, c’è anche, come ai tempi del re, un suo primo ministro che nessuno si ricorda mai come si chiama. In Italia una tale discussione è scoraggiata a priori. Si considera chi parla bene del presidenzialismo, di una delle tante forme possibili, come di un poco di buono, un mascalzone con probabili ambizioni cesaree, un nuovo duce, o Führer, o conducator, o Volodia (Stalin) o Grande Timoniere (Mao), in ogni caso, uno che evoca la metafora di colui che guida: nei tram tedeschi resiste la scritta “Non parlare al Fuhrer”.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.