Nessuna situazione straordinaria dovrebbe durare tanto a lungo da diventare ordinaria. Troppe volte è accaduto in passato e come cittadini ne abbiamo pagato le conseguenze. Pensiamo all’emergenza lavoro, all’emergenza rifiuti, al degrado urbano, alla carenza di servizi. Quante volte il tempo trascorso a protestare e indignarsi è poi diventato il tempo della rassegnazione, del “tanto le cose vanno così”, di fronte a situazioni emergenziali a cui non si è saputo o voluto porre rimedio? La giustizia non può essere lasciata in uno stato di emergenza nell’emergenza. Perché di mezzo ci sono diritti, garanzie, libertà che non possono essere sacrificate ulteriormente. Lo erano già prima del Covid, tanto che per anni si è dibattuto di riforme e criticità da risolvere senza mai giungere a un reale ed efficace punto di svolta. E lo sono ancor di più adesso, dopo un anno e mezzo di pandemia che ha imposto restrizioni e cambiamenti che hanno finito per rallentare e appesantire i ritmi già troppo lenti della giustizia.

Ma se la pandemia deve avere un effetto, dovrebbe essere quello di scoprire gli alibi, non di crearne di nuovi. E questo, più che un auspicio, dovrebbe diventare un imperativo. Tutto il mondo sta ripartendo dopo gli stop dei mesi scorsi, tutti i settori dell’economia stanno ritrovando la normalità. Viene da chiedersi quando arriverà il momento della giustizia. Quando accadrà che un processo sia celebrato in tempi ragionevoli? Che un’udienza sia rinviata di un mese e non di un anno? Se lo chiedono anche gli avvocati ormai stremati da un anno e mezzo di restrizioni e accessi agli uffici giudiziari negati o contingentati. Da liberi professionisti hanno pagato a caro prezzo il rallentamento dell’attività della giustizia. E la protesta organizzata venerdì scorso davanti all’ufficio del Giudice di pace, tra i settori più in stallo, è stata voluta per chiedere di sbloccare la giustizia e di conseguenza il lavoro di migliaia di professionisti forensi.

Ecco perché hanno lasciato l’amaro in bocca le dichiarazioni rese da Elisabetta Garzo in merito all’impossibilità di aumentare il numero di udienze giornaliere e ridurre le restrizioni anti-Covid. La presidente del Tribunale ha spiegato che fino al 31 luglio non ci saranno incrementi dell’attività giudiziaria e che ulteriori valutazioni saranno considerate dopo la pausa feriale. «Non è più possibile trincerarsi dietro i provvedimenti che hanno statuito lo stato di emergenza fino al 31 luglio 2021 per denegare la giustizia davanti ai Giudici di pace. Tutto il mondo è ripartito e, settimana per settimana, giorno per giorno, si assiste all’incremento di ogni tipo di attività, produttiva e non, con “aperture” o con serie e studiate programmazioni.

Nulla di tutto ciò accade per l’attività giudiziaria e amministrativa presso gli uffici del Giudice di pace del circondario di Napoli dove, senza nemmeno considerare che il 21 giugno prossimo sarà ripristinata la zona bianca in Campania, ci si limita ad attendere il 31 luglio e poi la fine delle ferie agostane per riprendere la valutazione della tematica», si legge nella nota che l’Ordine degli avvocati di Napoli e tutte le associazioni forensi hanno firmato per replicare alla presidente Garzo. «Gli avvocati non possono e non devono più attendere – dicono i rappresentanti dell’avvocatura napoletana – I cittadini non possono essere costretti a ignorare i tempi delle loro istanze di giustizia».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).