L’indignazione per la scarsa solidarietà mostrata finora “dall’Europa” nella risposta al Covid19 può trasformarsi in occasione di unità per il popolo europeo, oppure può affondarci ancor di più nel circolo vizioso del nazionalismo.
Prenderemo l’una o l’altra direzione a seconda che la reazione sarà soltanto affidata ai Governi e alle loro burocrazie, o, al contrario, vedrà come protagonisti i cittadini europei, attraversati in queste ore dal comune vissuto di una tragedia immane.  La prima strada, quella del potere intergovernativo, è scandita al ritmo di videoconferenze segrete (i lavori del Consiglio non sono pubblici) dove i rappresentati dei Governi cercano di tirare la coperta dalla propria parte.

La seconda strada, oggi più stretta e meno praticata, passa dai luoghi della democrazia europea, a partire dalle riunioni (quelle sì, pubbliche!) del Parlamento europeo e dall’attivazione degli strumenti della partecipazione civica. Un esempio di queste ore è la petizione “EU can do it”, sulla quale è in corso la raccolta firme in Europa. Inutile essere vittimisti lamentando l’egoismo dei “nordici”. Non ci sono popoli innocenti e colpevoli. Ci sono decisioni adeguate o inadeguate alla crisi. È innanzitutto il metodo a determinare il risultato.

Finché si rimane chiusi nel confronto (segreto) tra interessi nazionali, non si supererà la logica negoziale dove nessuno regala nulla a nessuno, dove la ricerca del consenso a breve in patria prevale su una visione di lungo periodo. In questo senso, sarebbe inutilmente autoassolutorio ignorare che la Germania, l’Olanda e altri Paesi europei non condividono la nostra condizione di debito pubblico, già insostenibile (per responsabilità della nostra classe politica) prima della crisi, e di immobilismo economico, già evidente prima della crisi. Finché la partita rimane un affare di Governi, sarà molto difficile imporre una logica comune, perché si resta nel recinto di un gioco a somma zero, dove se otteniamo qualcosa saranno altri a rimetterci.

Sono invece le donne e gli uomini europei a condividere condizioni e esigenze comuni: assistenza, cure, equipaggiamenti sanitari, agevolazioni economiche, ricerca scientifica e sperimentazione di farmaci e vaccini, informazioni affidabili. Questo non significa, naturalmente, che i cittadini di uno Stato (ma anche di una Regione o di un Comune) non siano oggettivamente più legati tra loro di quanto non lo siano con gli abitanti di altri territori. Significa però che la dimensione del dramma che tutti stiamo vivendo ci fa sentire partecipi di un destino comune. In Europa non accadeva da decenni. Non è un caso che le fondamenta dell’Europa politica siano state concepite durante la Seconda guerra mondiale (il Manifesto di Ventotene) e iniziate a costruire negli anni successivi. La portata della tragedia bellica e dell’Olocausto era stata tale da predisporre le persone alla necessità di un destino comune, al considerarsi anche come popolo europeo, istintivamente prima ancora che politicamente. Oggi può accadere qualcosa di simile.

La petizione “EU can do it” chiede alcune cinque cose urgenti: 1-Dare una risposta comune e sistemica dell’Unione europea alla crisi del COVID-19; 2- Riformare il sistema sanitario e gli strumenti di protezione civile dell’UE per rispondere alle epidemie; 3- Implementare tutte le misure di politica economica, finanziaria e monetaria per permettere all’UE di sbloccare le risorse e misure comuni per supportare tutti gli europei nelle conseguenze della pandemia, incluse le misure per la mutualizzazione dei debiti pubblici, le risorse proprie per il budget dell’UE, secondo una radicale conversione ecologica della tassazione europea (inclusa l’accelerazione del Green Deal); 4- Trasformare il primo stadio della Conferenza sul Futuro dell’Europa in un’assemblea pubblica; 5- Contribuire ad un meccanismo per prevenire e fronteggiare epidemie e pandemie.

Se il Parlamento europeo, che purtroppo finora non ha ancora convocato una sessione plenaria per il mese di aprile, potrà discutere anche queste proposte, sarà un’occasione importante per l’Europa. Limitarsi a fare il tifo per l’Italia nei conciliaboli (segreti) europei può riempire d’orgoglio, ma non serve. È il momento di agire da cittadini europei, attivando i deboli e fragili strumenti che la democrazia europea ci mette a disposizione, potenziandoli, riformandoli. È il momento di riprenderci l’Europa e usarla fino in fondo per ciò che è necessario.