La guerra di Putin è il diritto internazionale calpestato. Il Riformista ne discute con un’autorità assoluta in materia: il professor Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché professore di “Global governance” al “Master of Public Affairs” dell’“Institut d’Etudes Politiques” di Parigi.

Professor Cassese, che guerra è quella scatenata da Vladimir Putin?
Una guerra consistente nell’invasione armata di un altro Stato, rientrante tra i crimini di guerra vietati e sanzionati sia dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, sia dallo statuto della Corte penale internazionale. I crimini consistono principalmente nella scelta di obiettivi civili. Si aggiungono i crimini contro l’umanità per il modo in cui si sta svolgendo l’azione bellica da parte della Russia. La Russia fa parte dell’Organizzazione delle Nazioni unite, ma ha esercitato il potere di veto, e quindi impedisce iniziative del Consiglio di Sicurezza, che è competente nella materia. Poi, la Russia è uscita nel 2016 dal gruppo dei 123 Stati che hanno firmato lo statuto di Roma della Corte penale internazionale. Tuttavia, l’ex procuratrice di questa Corte ha sostenuto la possibilità che la Corte stessa dia seguito alla procedura di accusa che ha già avviato. Molti esperti ritengono che possa essere creato un apposito tribunale per valutare le responsabilità penali del presidente della Federazione russa.

C’è chi sostiene che, piaccia o no, se si vuole evitare una Terza guerra mondiale nucleare, con la Russia si deve trattare. Ma si può trattare sotto ricatto nucleare?
L’intero diritto internazionale è fondato sul primato della negoziazione rispetto alla risoluzione dei conflitti mediante ricorso alla guerra. Quindi, non c’è dubbio che si debba tentare in ogni modo un negoziato, come d’altra parte i due Stati stanno facendo, con il supporto di tutta la comunità internazionale.

Come valuta l’atteggiamento sin qui tenuto da Stati Uniti, Europa e Nato?
È stato un atteggiamento prudente, diretto ad evitare un allargamento del conflitto. È stato fondato su queste basi. Primo: una condanna della condotta della Federazione russa. Secondo: aiuto ai rifugiati a cui l’Unione europea ha applicato le norme sulla protezione temporanea. Terzo: fornitura di armi e strumenti bellici allo Stato e alla popolazione ucraini per potersi difendere. Quarto: aiuto finanziario, alimentare e con altri mezzi di prima necessità alla popolazione aggredita. Quinto: sanzioni allo Stato aggressore e a singole persone, sanzioni in Europa fondate sull’articolo 215 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, che consente l’adozione di “misure restrittive”.

Un autocrate che vuole riscrivere la Storia, che evoca la Grande Guerra Patriottica, che pretende la “denazificazione dello Stato ucraino”, che solletica le corde del panrussismo. Non è ancor più pericoloso?
Gli osservatori più attenti della realtà russa fanno notare che il presidente ha perduto contatto con la realtà odierna, non si rende conto dell’evoluzione che è vi è stata in Ucraina negli ultimi trent’anni, pensa che si possa ricostruire un impero come quello degli zar o come quello sovietico.

“Ingerenza umanitaria”. È un principio che il mondo libero dovrebbe praticare o è un pericoloso azzardo?
Penso che vi siano organizzazioni sovranazionali che potrebbero fare di più di quello che stanno facendo. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, di cui la Russia fa parte, ha rinunciato a svolgere il suo compito. Il Consiglio d’Europa, dopo che la Federazione russa ha dichiarato di voler lasciare l’organizzazione, non ha ancora preso un’iniziativa per le gravi violazioni dei diritti umani in Ucraina. Il segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nell’ambito dei suoi poteri, potrebbe fare qualcosa di più di una mera assistenza attraverso l’organizzazione che si interessa dei rifugiati. L’intera comunità internazionale potrebbe moltiplicare gli sforzi per esercitare un’ulteriore pressione sia sulla popolazione sia sullo Stato russo.

Con tutti i limiti rimarcati, tuttavia l’Ucraina stava sperimentando un sistema democratico. Non crede che sia questa la cosa che più spaventa lo zar del Cremlino?
Quella che lei espone è un’ipotesi che fanno molti. Se, tuttavia, il presidente della Federazione russa è così convinto della superiorità dell’autocrazia che lui ha introdotto nel suo Paese, manipolando la costituzione, è difficile che tema che l’esempio della libertà e della democrazia siano pericolosi.

Comunque vada a finire, si spera non nel modo più devastante, niente sarà più come prima. Un’affermazione che ieri si legava alla pandemia, oggi alla guerra nel cuore dell’Europa. È solo un esercizio di retorica?
Purtroppo non è un esercizio di retorica. È un’orribile dimostrazione della possibilità che una guerra può scoppiare molto vicino a casa nostra e un’ulteriore prova dei danni che i conflitti bellici producono, non solo a quelli che vi sono coinvolti. Comunque, questa guerra sta producendo effetti importanti in Europa. Il primo è quello di avere unito i 27 Paesi che fanno parte dell’Unione. Il secondo è quello di aver convinto l’Unione a rafforzare la sua presenza nel settore della difesa. Terzo: ha contribuito a convincere l’Unione europea della necessità di avere un vero e proprio bilancio autonomo con proprie entrate e proprie spese, di dimensioni corrispondenti all’ampiezza dell’Unione europea e della sua popolazione. In questo modo si dimostra quello che una volta ha osservato Helmut Schmidt, che l’Europa vive di crisi, nel senso che le crisi sono uno stimolo per rafforzare l’Unione.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.