Nella mente dello “Zar”. Il Riformista ci prova affidandosi a una vera e propria autorità nel campo della storia del “pianeta russo”: il professor Silvio Pons. Insegna Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa. È presidente della Fondazione Gramsci. Tra le sue pubblicazioni con Einaudi ricordiamo: Berlinguer e la fine del comunismo (2006), La rivoluzione globale. Storia del comunismo internazionale 1917-1991 (2012), I comunisti italiani e gli altri. Visioni e legami internazionali nel mondo del Novecento (2021) e la cura (con Robert Service) del Dizionario del comunismo nel XX secolo (2006- 2007). È General Editor della Cambridge History of Communism (Cambridge University Press 2017).

Chiama in causa il panrussismo, evoca la Madre Terra Russa, scomoda Lenin, pretende la “denazificazione” dello Stato ucraino, occhieggia ai fasti zaristi. Putin veste i panni dello “storico”. C’è d’averne paura, professor Pons?
Assolutamente sì. Non si tratta solo di cattiva storia, ma si tratta di narrazioni mitologiche che hanno lontanamente a che fare con la storia. Che ci siano stati profondi intrecci storici tra la Russia e l’Ucraina è una verità storica, ma il modo come viene presentato da Putin, come se fosse un’unità inscindibile, come se le identità nazionali non potessero cambiare nel tempo e darsi forme di potere diverse, quel modo è metastorico e allo stesso tempo puramente strumentale a un unico obiettivo, che è quello di negare il diritto all’esistenza di uno Stato-nazione ucraino.

Agganciandomi a quest’ultima considerazione, le chiedo: a Putin cosa fa davvero paura. L’ingresso dell’Ucraina nella Nato o nell’Unione Europea? O c’è dell’altro?
Secondo me quello che fa davvero paura a Putin è il rischio di un contagio democratico in Russia. Del resto, è una questione che è emersa già molto tempo fa. Quando ci approcciamo a queste questioni, dovremmo avere un po’ più di memoria. Questa crisi è cominciata da almeno vent’anni e le sue radici risalgono al crollo dell’Unione Sovietica. Diciotto anni fa ci fu la famosa “rivoluzione colorata” in Ucraina, che fu un momento di spinta dal basso verso la democratizzazione e l’europeizzazione del Paese. In quel momento Putin, che era al potere da pochi anni e che pure aveva un’agenda internazionale apparentemente, e forse anche genuinamente cooperativa con l’Unione Europea, giudicò la “rivoluzione colorata” in Ucraina come una quinta colonna organizzata dall’Occidente. Fin d’allora il problema è emerso. Ed è un problema che non riguarda solo le relazioni bilaterali ma investe un contesto internazionalizzato…

Perché questo?
Perché l’Ucraina sin da quel momento era chiaramente un Paese soggetto a influenze e spinte polarizzate tra l’Unione Europea e la Federazione Russa, e all’interno il Paese era anche molto diviso, forse più allora di oggi, tra questi due magneti internazionali. Per tornare a Putin. Il suo principale assillo è la tendenza a vedere nella democratizzazione una minaccia ad un assetto stabile del potere. Mi lasci aggiungere che questa è una questione che è anche inserita nella storia russa. Perché dal punto di vista di Putin, gli anni di Gorbaciov e ancora di più quelli di Eltsin, cioè gli unici anni in cui c’è stata un po’ di democrazia in Russia, sono stati anche gli anni del declassamento del Paese, del collasso, della perdita di autorità dello Stato, della corruzione ai massimi livelli. Tutte cose che sono accadute. C’è una cultura politica autoritaria al fondo, ma c’è anche una visione negativa della democratizzazione che è legata a quell’esperienza. E nel momento in cui la democratizzazione si avvicina ai confini della Russia e soprattutto in un Paese importante, influente in Russia come l’Ucraina, proprio perché si tratta di un Paese con tanti intrecci, anche di vite personali, familiari, con la Russia, ecco che questo diventa il problema numero uno. L’altro problema è quello della percezione della minaccia.

Da cosa si sente minacciato lo “zar” del Cremlino?
Dopo la scelta della guerra, è chiaro che tutto si semplifica, ed è difficile cogliere le sfumature. Però è vero che nel corso del tempo, fin dagli anni ’90, si crea una specie di automatismo tra l’allargamento dell’Unione Europea a Est, cosa peraltro molto voluta dai Paesi dell’ex blocco sovietico, e l’espansione della Nato. Questo dal punto di vista occidentale non è mai stato un problema, anche perché erano gli stessi Paesi dell’ex sfera sovietica che lo chiedevano, ma forse abbiamo trascurato il fatto che dal punto di vista russo questo era comunque un problema. Tanto è vero che già la classe dirigente precedente all’ascesa di Putin, ne dava un giudizio negativo. Ricordo il famoso giudizio di Evgenij Primakov, ministro degli Esteri e poi Primo ministro nella seconda metà degli anni ’90 con Eltsin al Cremlino, quando andò a firmare gli accordi di Parigi che sancivano il prossimo ingresso di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceka, nell’UE. Primakov disse che la Russia non si opponeva ma lo considerava un errore storico. Quella della percezione russa è una questione che non possiamo semplificare dicendo che Putin si serve di questo fantasma per inseguire in realtà i suoi sogni di dominio. Certo oggi ci appare così. Ma è una questione che era presente sul tavolo da molto tempo e nessuno degli interlocutori l’ha veramente affrontata. Nel 2008 ci fu un annuncio da parte occidentale di un possibile ingresso dell’Ucraina nella Nato. E la reazione russa fu fortemente negativa. Naturalmente stiamo parlando di un regime illiberale, resta il fatto che si sono sommate le paure di un contagio democratico con quelle di un accerchiamento da parte occidentale. Questo non è che giustifichi la guerra, ci mancherebbe altro. Ma è un modo per capire chi abbiamo davanti.

Chi abbiamo davanti. Non le voglio far vestire i panni del profeta o del veggente, ma da profondo conoscitore della realtà russa quale lei è, le chiedo se può esserci un punto di caduta politico-diplomatico che ponga fine alla guerra.
È la domanda che è nella testa di tutti. C’è una premessa necessaria a qualunque risposta. E questa premessa è che quello che ha fatto Putin va al di là di ogni peggiore previsione. Credo di poter dire che tutti i più esperti e raffinati analisti della Russia si aspettavano che succedesse qualcosa in Ucraina. Perché dal conflitto del 2014 non era uscita una vera soluzione di pace. I famosi accordi di Minsk erano una tregua ma dopo ci sono stati 8 anni di guerra civile strisciante e poi conclamata. E le parti in causa non hanno fatto niente per pacificare la situazione. Che la situazione nell’Est dell’Ucraina fosse una polveriera, molti se lo sono dimenticato ma chi conosce queste cose non l’ha dimenticato. Ciò nonostante ci si aspettava che Putin seguisse un progetto preciso, che aveva già delineato…

Vale a dire?
Quello di “federalizzare” l’Ucraina. Riconoscere l’autonomia delle repubbliche dell’Est e in questo modo imporre dall’esterno, con l’ingerenza nella politica interna del Paese, una specie di stallo nel possibile avvicinamento-inclusione dell’Ucraina nell’Unione Europea. Questo disegno è stato improvvisamente abbandonato. E noi non sappiamo bene perché e come da questo disegno di pesante condizionamento geopolitico, Putin sia passato alla scelta di una guerra totale, su vasta scala, che prevede di bombardare, come sta avvenendo da giorni, le principali città dell’Ucraina e di addirittura di prendere Kiev, una vera e propria invasione che mira a un cambio di Governo, beh, questa è una scelta scellerata, per certi aspetti folle, in cui ci sembra che Putin abbia perso la sua razionalità. È chiara soltanto una cosa, è cioè che l’attuale Governo ucraino Putin lo vuole liquidare. Punto. E questo vuol dire, però, attaccare anche la statualità ucraina. Perché l’Ucraina del dopoguerra, quando ci sarà, non sarà più quella di prima. In questo scenario, una exit strategy, di una via verso la pace, si complica alquanto. Intanto perché qualunque Governo in Ucraina sostituisca Zelensky, dopo un suo eventuale arresto o anche peggio, sarebbe un Governo imposto con la forza dall’esterno. Putin, e qui c’è un tratto veramente inquietante dell’autocrazia, ha creduto davvero che l’Ucraina fosse un Paese che non sta in piedi, uno Stato che non esiste. E quindi non si aspettava una resistenza che non è solo militare ma è una resistenza patriottica. A questo punto si è infilato in un tunnel. Perché da una parte la risposta occidentale è stata molto forte, e le sanzioni economiche sembrano essere stavolta davvero molto efficaci e possono mettere in ginocchio l’economia russa, dall’altra parta come farà a tenere un Paese in gran parte ribelle contro la Russia dopo averlo occupato. Lo scenario di una pacificazione interna e internazionale è uno scenario quanto mai problematico. Se la condizione posta brutalmente dalla Russia resta quella della neutralità dell’Ucraina, non è facile adesso accettarla. Forse poteva essere una soluzione nel passato, ma oggi dopo una guerra e un cambio di governo imposto dall’alto, significherebbe un cedimento oltre ogni giusta aspettativa della maggioranza della popolazione dell’Ucraina. La via d’uscita si deve ancora delineare e sarà possibile solo se le armate russe si fermeranno a un certo punto, avendo ottenuto qualche cosa che però noi non sappiamo bene che cosa sia. La caduta di Zelensky diventa a questo punto un elemento chiave. Non riesco a vedere Putin che tratta davvero con Zelensky. Spero di essere smentito dai fatti, ma ad oggi la vedo davvero dura.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.