La foto “prova regina” del legame tra Silvio Berlusconi e la mafia non si trova. Ovviamente. Ma potrebbe sbucar fuori una casa. Vuoi che un ricco imprenditore brianzolo non abbia nemmeno uno straccio di villa sul Lago Maggiore? Magari a due passi da quella a Meina del generale Francesco Delfino, colui che nella fantasia dei mafiologi professionisti sta prendendo il posto di Mario Mori.

E, se non proprio a due passi, magari a trenta-quaranta chilometri, da quei luoghi del lago d’Orta e vicinanze, Omegna e Borgomanero, dove nei primi anni novanta trovarono rifugio i latitanti fratelli Graviano e quel Balduccio Di Maggio, l’autista che ha fatto arrestare il suo capo, Totò Riina. Tutti in fuga dal nemico Giovanni Brusca. Ogni notizia, ormai lo sappiamo, è quella che “riscrive la storia”. Non quella del Risorgimento o della grande guerra o della seconda e del fascismo e la resistenza e l’arrivo degli americani. E neanche quella della ritrovata democrazia e la nostra bella Costituzione e poi la ricostruzione.

Niente di tutto ciò. La storia da riscrivere, in cui sono impegnati sempre i soliti, che poi sono un pugno di penne e di toghe, è una e una sola, quella delle stragi di mafia. Un mondo e una storia che ormai esistono non solo in sentenze che credevamo definitive, ma soprattutto in qualche atto giudiziario di passaggio e negli occhi stanchi di chi passa troppo tempo a spulciarli dopo il consueto dono delle mani amiche.  Così i primi anni Novanta, fino al 1994 quando è entrato in scena Silvio Berlusconi, vengono letti e riletti, e aggiustati e maneggiati e rivoltati, per arrivare sempre alla medesima conclusione. Chi ha messo le bombe nelle mani di quel contadino analfabeta di Totò Riina? E perché? E ogni volta, a ogni nuova “notizia”, che in genere notizia non è, come l’ultima sulla foto con il generale Delfino e il mafioso Graviano, si squarcia un velo. Ma gli articoli sono tutti uguali.

Anche se c’è una novità nel panorama della comunicazione. La Repubblica, il quotidiano che fu capostipite nella campagna politico-giudiziaria contro Silvio Berlusconi, contro il suo ingresso in politica, con l’occhio attento delle dieci domande sulla sua vita personale, è ormai tagliata fuori. I nuovi esecutori dell’ O di Giotto con cui l’allievo superò il maestro Cimabue, sono gli storiografi giudiziari di Domani e del Fatto. Che si accapigliano e si scopiazzano senza pudore. Dopo lo scoop della foto su Berlusconi che non c’è, e che ha creato quel parapiglia nella redazione di La 7 su cui ci illuminerà Enrico Mentana domenica sera, è ora la volta di squarciare anche l’oscurità dell’arresto di Totò Riina, avvenuto il 15 gennaio del 1993, due ore prima dell’arrivo a Palermo del nuovo procuratore Giancarlo Caselli.

La spiata era arrivata dal “traditore” Balduccio Di Maggio, che del boss dei corleonesi era stato l’autista. Quello che noi boccaloni credevamo fosse stato fermato pochi giorni prima, l’8 gennaio. Pare invece che il “traditore” e “pentito” fosse nelle mani della giustizia già da qualche giorno, da prima del capodanno 1992. Nelle mani di chi? Domanda ingenua. Del generale Delfino.

Delfino chi? Ma quello della foto con Berlusconi e Graviano no? E dove? Ma sul lago D’Orta, ovvio. E qui il cerchio si chiude, perché Di Maggio viene arrestato a Borgomanero, luogo a quindici chilometri da Omegna dove il gelataio Baiardo, quello che ha fatto fuori Giletti da La 7, ospitava i fratelli mafiosi Graviano, uno dei quali, Giuseppe, sarebbe il protagonista della famosa foto. Inoltre, guarda caso, il generale Delfino aveva una villa a Meina, cittadina che non c’entra niente con gli altri due luoghi, perché è sulla punta sud del lago Maggiore.

Però agli occhiuti storiografi giudiziari non può sfuggire il fatto che tutto sommato stiamo parlando di soli trenta chilometri di distanza. Poi, se vogliamo proprio dirla tutta, quanti laghi ci sono tra Lombardia e Piemonte? Lasciamo stare il Garda che è più sopra, ma non vogliamo vedere se non c’è stato qualche mafioso nascosto in quegli anni per esempio sul lago di Varese? L’onore dello scoop andrebbe al Fatto del 17 aprile, se il giorno dopo, il 18, Domani non avesse schierato la corazzata Attilio Bolzoni, che come il suo collega Giuseppe Pipitone conosce a spanne la geografia del nord d’Italia, ma viene dalla scuola di Repubblica, quindi ci mette il carico di chi conosce la storia dall’inizio.

Sentite: “In un angolo d’Italia lontano da Palermo è accaduto qualcosa che può ribaltare la scena intorno alla cattura di Totò Riina, che poi è il principio di ogni mistero. Perché è da quel momento che si incastra tutto: mafia, stato, stragi, depistaggi, patti. Oggi possiamo avere una visione meno incompleta sulle uccisioni di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, sulle bombe di Firenze”. Manca solo una villa di Silvio Berlusconi sul Lago Maggiore, possibilmente con dépendance affittata all’amico Marcello Dell’Utri.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.