A 100 anni ragiona e non mostra i muscoli come i sette 'cowboy'
La lezione di Kissinger (“Europa e Russia amici”) ai leader del G7, globalizzazione a rischio e mondo diviso in due blocchi
Sui temi della crisi internazionale e della guerra è intervenuto nuovamente Henry Kissinger. Cioè – come dicono le agenzie – il più antico statista vivente. Ha 99 anni appena compiuti, è stato l’anima della politica estera di Nixon e non solo, l’artefice del primo disgelo tra Usa e Cina (mentre era ancora in corso la guerra del Vietnam), il cervello e l’anima della strategia golpista che negli anni settanta travolse l’America latina, a partire dal Cile e dall’Argentina, con la violenta liquidazione del regime democratico di Allende e di quello peronista a Buenos Aires. Ha tante medaglie da mostrare col petto, e tante vergogne da nascondere. Però non c’è nessuno al mondo che possa dubitare della sua vulcanica intelligenza, della sue doti di analista, di diplomatico, e anche di stratega.
Kissinger era intervenuto qualche settimana fa da Davos, in Svizzera, assumendo una posizione molto diversa da quella dell’establishment statunitense, e quindi anche delle leadership europee che fin qui non si sono mostrate troppo indipendenti da Washington. Aveva detto che per trattare con la Russia è necessario essere disposti a cedere qualche porzione del territorio ucraino. Cioè aveva detto un’eresia. L’altro giorno Kissinger è tornato a parlare coi giornalisti, a Londra, in occasione della presentazione di un suo libro (credo che Kissinger sia tra i pochi esseri umani ad aver scritto un libro pochi mesi prima di compiere i cent’anni). Ha sfumato un poco le sue posizioni sull’Ucraina, cioè sulla necessità di cedere territori, senza tuttavia smentirle. E poi è passato a parlare del dopo. Spiegando alcuni concetti molto semplici che oggi però sembrano quasi dimenticati nel dibattito pubblico. Ha detto queste cose.
Primo, ha detto che effettivamente i paesi della Nato avrebbero potuto evitare di minacciare l’ingresso dell’Ucraina nell’alleanza atlantica, facendo così sentire i russi assediati militarmente. Secondo – e questo è il punto più importante – ha detto che è folle immaginare che una volta deposte le armi, la Russia possa essere allontanata dal consesso internazionale e dall’occidente. In particolare credo che si riferisse al cancelliere tedesco Scholz (Kissinger, come sapete, in realtà è un tedesco trapiantato negli Usa) il quale ha sostenuto che i rapporti tra Russia ed Europa non potranno più essere gli stessi. E anche alle affermazioni di Johnson che ha parlato della necessità di sconfiggere la Russia, come ha fatto anche in più occasioni il segretario generale della Nato Stoltenberg. Kissinger ha spiegato che il problema è quello di difendere l’indipendenza dell’Ucraina, non quello di sconfiggere la Russia. Perché se si assume la prospettiva dello scontro frontale non ci sarà via d’uscita. Né alla guerra né al dopoguerra.
Kissinger ha parlato a lungo anche della storia della Russia, e di come questo paese abbia vissuto negli ultimi 500 anni una vicenda assolutamente collegata con la storia europea, e come, anzi, in più occasioni, abbia avuto grandi meriti nella difesa e nello sviluppo dell’Europa. Come potete pensare – ha chiesto – di non ristabilire dei rapporti assolutamente normali e amichevoli tra Russia e Europa? Fa impressione il contrasto tra il ragionare calmo e razionale dell’ex segretario di Stato di Nixon e la propaganda guerresca che sta diventando il linguaggio dei leader occidentali, con poche eccezioni (forse solo Macron, fin qui, ha dato la sensazione di volersi distinguere, ma Macron, dopo le elezioni francesi, è particolarmente indebolito). Il G7 è pronto a riunirsi non per cercare la via di una soluzione di pace, di negoziato con Putin, ma per decidere nuovi atti di ostilità e di guerra. La linea sembra quella di Boris Johnson, che pochi giorni fa ha quasi minacciato il collega Macron: “Nessun negoziato – ha detto – dobbiamo battere Putin”.
Non si capisce bene se gli europei e gli americani seguano un disegno, o semplicemente puntino a vivere alla giornata. Mantenendo ferma solo la prospettiva di un conflitto lungo. Nei giorni scorsi, addirittura, il New York Times ha avanzato l’ipotesi che Biden stia pensando a inviare dei soldati sul teatro della guerra. E ha ricordato come altri presidenti americani, in passato, avevano escluso il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella guerra per poi smentirsi dopo pochi mesi. Il New York Times ha ricordato la storia di Woodrow Wilson e il suo intervento nella prima guerra mondiale dopo aver escluso ogni impegno americano in Europa, e poi le dichiarazioni di Lyndon Johnson che nella campagna elettorale del 1964 aveva escluso di entrare in guerra contro il Vietnam di Ho Chi Min, e qualche mese dopo inviò il corpo di spedizione americano a combattere in Indocina. Siamo alla vigilia di qualcosa del genere? Il rischio sicuramente è aperto. Si parla ad esempio di una forza di dissuasione da mandare ai confini della Russia. Come strumento di pressione psicologica.
Si tratta di posizioni molto lontane dal realismo di Kissinger. Il quale, peraltro, non ragiona affatto in termini di etica, come per esempio fa il papa. La sua posizione parte dall’analisi della situazione internazionale, delle forze in campo, della necessità di relazioni internazionali. Tiene conto dei rapporti di forza tra potenze. E soprattutto guarda al futuro del mondo, non al braccio di ferro e alla propaganda di potenza. La questione è molto semplice. La guerra dell’Ucraina sta portando il pianeta a dividersi in due schieramenti. Quello occidentale, che si regge sulle 7 principali potenze. Appunto, sul G7 che oggi è il luogo del potere che rappresenta un pezzo, e solo un pezzo del mondo. Quello che può essere chiamato democratico, o invece può essere più semplicemente chiamato Occidente. Per capirci, quello fotografato dall’immagine dei sette statisti in camicia bianca che sfidano Putin. Dall’altra parte c’è un altro schieramento, che si raggruppa attorno alla Cina e alla Russia, e che comprende altri grandi paesi, come l’India e il Brasile e diverse altre nazioni un po’ più piccole.
Lo schieramento guidato dal G7 raccoglie circa un miliardo di abitanti. Lo schieramento dei cosiddetti Brics ne raccoglie circa 3 o 4 miliardi. È una cosa saggia immaginare che questi due pezzi di mondo cessino ogni comunicazione e vivano in ostilità? E chi ci guadagnerebbe da una situazione così pericolosa e instabile? Torna a porsi il problema della globalizzazione. Vogliamo aiutarla o tornare ai nazionalismo, anche se a nuovi moderni nazionalismi? È la seconda volta che la globalizzazione parte e poi si arresta. Successe nel 1914, con la prima guerra mondiale. Poi, dopo l’89, la globalizzazione riprese a vivere. Vogliamo fermarla di nuovo? Tornare alla guerra fredda? Fare dell’Occidente anziché uno stimolo allo sviluppo e alla liberalizzazione del mondo, un fortino arcigno e nemico della maggioranza dell’umanità? Francamente, tra Kissinger e i sette cowboy faccio tifo per Kissinger.
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