La chiusura della campagna elettorale
La sinistra spaccata chiude la campagna elettorale in tre piazze, e Casalino in monopattino le gira per misurare le presenze
La prospettiva aiuta sempre. Vedere le cose dall’alto può essere un buon punto di vista. Ore 18, ieri, Roma. In Piazza del Popolo, il luogo classico delle chiusure, c’è il Pd. Piena a metà, come del resto lo era il giorno prima con il centrodestra. Hanno disposte file di seggiole e percorsi guidati di transenne. Manifestazione ordinata, molto ceto medio e tanto apparato. “Stanno arrivando buoni segnali su di noi, mentre lei (cioè Meloni, ndr) è ferma” sussurra Paola De Micheli in tailleur rosso. Quando arriva il segretario Enrico Letta, stanco e dimagrito – si vede dal collo della camicia – il backstage si anima e gli vanno tutti incontro, i ministri Guerini e Orlando, le capigruppo Malpezzi e Serracchiani, i governatori della Toscana Eugenio Giani e dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini.
Si avvicina anche Elly Schlein, la vicepresidente dell’Emilia Romagna. In questo folto capannello ci sono almeno tre candidati alla segreteria. Perché i conti con la segreteria sono già iniziati. Letta attacca la destra, chiede già diritti e difende la Costituzione: “Non permetteremo che venga stravolta”. In Piazza SS. Apostoli c’è Conte e il Movimento 5 Stelle: l’ex premier attacca Draghi, solletica la rabbia nel paese, è una piazza più piccola, si riempie in fretta, è la piazza dell’Ulivo e dell’Unione. Chissà se c’è un filo rosso. Rocco Casalino è avvistato in monopattino che fa la spola con piazza del Popolo per misurare clima e presenze. E poi c’è la piazza del Gianicolo, sotto la statua di Garibaldi (ingabbiata per restauro ma si vede lo stesso), pina di gente, professionisti e professioniste, giovani e universitari. Matteo Renzi, Carlo Calenda, le tre ministre Bonetti, Gelmini e Carfagna, Stephan Sejournè, il macroniano portavoce di Renew Europa che accende la carica: “Finalmente le forze di centro si sono riunite anche in Italia, sarete voi la vera sorpresa di queste elezioni e delle prossime elezioni per la nostra Europa”.
L’ingresso di Calenda è accompagnato da un magnifico ed emozionate collage di spezzoni di film, dagli anni cinquanta a oggi, che sono un inno alla bellezza e alla complessità di questo paese, “liberale, repubblicano, riformista – dice Calenda – che sono le grandi radici di questo paese che noi vogliamo difendere”. Pare ci sia la mano di Cristina Comencini, la mamma di Carlo Calenda Ed è qui, da questa magnifica piazza che sa appunto di risorgimento e ripartenza, che si respira la voglia di novità. “Possiamo dire per una volta che domenica voteremo non contro chi sta a destra o a sinistra ma per fare e realizzare quello che serve?”. Segue liste di cose di buon senso per “rimettere insieme il paese e farlo ripartire”. In mattinata Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, i due mattatori dell’alleanza Sinistra e Verdi, erano mescolati ai ragazzi di Friday’s for future, la mobilitazione globale per l’ambiente da salvare. In Italia è capitata a due giorni dalle elezioni. La regia del destino.
Tre piazze, tre popoli, Si tratta di una comunità che probabilmente trent’anni fa, circa, agli albori della seconda repubblica, sarebbe stato insieme. Anzi, è stato insieme: centrosinistra senza trattino, Ulivo, Unione. Ma è durato sempre lo spazio di mezza legislatura per poi lasciare campo al centrodestra e, fallito anche questo, ai populismi. La più grande lezione arriva da qua: tenere insieme per forza qualcosa che certamente si assomiglia ma non è la stessa cosa, genera disastri. Giusto, quindi, dividere, distinguere, chiarire. Venivano in mente questi pensieri ieri girando in motorino tra una piazza e l’altra della Capitale dove Terzo Polo, Pd, 5 Stelle e Verdi hanno dato appuntamento ai loro supporter prima della prova delle urne. Perchè se fossero ancora tutti insieme, il campo veramente largo (non quello selezionato che ha poi nei fatti tentato Enrico Letta), in base ai sondaggi sarebbe avanti al centrodestra. Proprio così: la somma di Terzo Polo, centrosinistra e 5 Stelle è più alta della somma di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. Vedremo poi i collegi e i risultati reali. Però questo è un dato che deve essere analizzato. È stato giusto, onesto e coerente dividere ciò è già dimostrato che non può stare insieme? Probabilmente sì. E deve essere un momento di chiarezza e ripartenza.
Ciò che invece non hanno fatto nel centrodestra: piazza del Popolo giovedì sera, la stessa piazza scelta da Letta ieri, ha mostrato tutte le divisioni, non potenziali ma già in essere tra i tre leader, in politica estera, economica e della sicurezza. Persino sul sociale. Il problema della compattezza è solo rinviato. A meno di clamorose retromarcia una volta acquisita la responsabilità del comando. E del potere. Vedremo. La metà campo del centro- sinistra uscirà da queste urne con molte domande. Tutto, molto, dipenderà dai risultati definitivi e dai rapporti di forza che farà emergere. I più attenti analisti concordano nel dire che il Pd è al giro di boa, che “dovrà finalmente fare chiarezza” se diventare dopo quindici anni quella socialdemocrazia che era stata immaginata oppure dividersi in una parte sinistra e in una più riformatrice e progressista. Il problema non sono nè Renzi nè Calenda (nel caso, qualcuno proverà ancora una volta a dare la colpa all’ex segretario fiorentino) che in verità sono ciò che il Pd avrebbe dovuto essere se avesse imboccato in modo risoluto la “terza via” tracciata da Blair, Clinton e Schroeder.
Il problema sono i 5 Stelle e questo assai poco credibile richiamo della foresta “dei più deboli e dei più poveri” con cui si è travestito Giuseppe Conte, novello Che Guevara con pochette, trucco e piega, nella sua ultima performance trasformista. “La sinistra sono io” ha detto. E però Melenchon l’ha rinnegato. Invece Trump si è informato su come stesse performando la campagna di “my friend Giuseppi”. Le urne potrebbe consegnare per la prima volta un reale concorrente a sinistra del Pd. Non importa se qualunquista, assistenzialista e inaffidabile. La soglia di galleggiamento per questo Pd e il segretario Letta è fissata al 20%: stare sotto vuol dire aprire veramente e forse per la prima volta il congresso del Partito Democratico. Oppure andare oltre. Lasciare la “ditta” alla “ditta” che in fondo sono già tornati uno nel corpo dell’altro e tornare al vecchio progetto: la risorsa Conte, “o Conte o morte”. Oppure andare oltre e guardare a Renew Europe, a Renzi, a Calenda, all’Europa.
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