Davide Casaleggio ripete di non avere ruoli apicali nel Movimento, ma quando la scatola magica di Rousseau si esprime sull’appoggio al governo Draghi, è sempre e solo lui a parlare. Compare a Milano, dopo essere stato a Roma durante le giornate calde delle consultazioni, a fianco del colorito notaio che certifica l’esito della votazione: «Aventi diritto al voto 119.544, voti espressi 74.537, sì 44177, pari al 59,3%. No 30360, corrispondendi al 40,7%». Ha vinto la linea condivisa dei big, quella di Grillo e Di Maio. Come sempre è accaduto con la piattaforma. Ma il notaio attesta anche che non hanno preso parte al voto 45000 iscritti a Rousseau.

Una inezia sulla quale Vito Crimi può ben sorvolare: «Ci sono state espressioni per l’una e per l’altra posizione. Dando la parola agli iscritti abbiamo ottenuto un mandato; ora dobbiamo rispettarlo, siamo pronti a metterci immediatamente al lavoro. Ringrazio i 70 mila votanti». «La decisione dei nostri iscritti è vincolante», sottolinea il reggente rivolto soprattutto alla fronda interna. Barbara Lezzi ma non solo: anche Danilo Toninelli, recalcitrante, va adesso ricondotto all’ovile. Ora tutti – e Crimi di questo si fa garante – devono piegare la testa e assecondare la decisione di Rousseau. Ma in serata arriva il primo che lascia i 5 Stelle. Un pezzo da novanta come Alessandro Di Battista che dice: «D’ora in poi non parlerò più a nome del Movimento, anche perché il Movimento non parla più a mio nome».

A Palazzo Madama anche i frondisti Mantero, Botto, La Mura, Moronese, Crucioli sono pronti a fare le valigie. In tutto i senatori che lasciano sarebbero 13. Crucioli dichiara già di voler votare contro Draghi in aula. Per provare a contenere il danno, gli editor di Luigi Di Maio pubblicano sul suo profilo Facebook una sperticata filippica, che ha il merito della velocità (viene pubblicata due minuti dopo l’esito di Rousseau) ma l’incontinenza delle grandi occasioni. «La responsabilità è il prezzo della grandezza», si lancia Di Maio. E spiega che «i nostri iscritti hanno dimostrato lealtà verso le istituzioni», con la formula che di prassi riguarda gli eletti, parlamentari e ministri, e non i militanti. E non solo: chi ha votato su Rousseau ha dimostrato anche «senso di appartenenza al Paese». Una appartenenza che non riguarda i 45000 non votanti e più da vicino i parlamentari prossimi alla scissione. Che non solo sono apolidi, a sentire il ministro degli Esteri, ma anche poco liberi: «Il pensiero è libero solo quando libere sono le persone», che in questo caso hanno mostrato «una forza buona e adulta».

Se Di Maio conciona su Facebook con termini così altisonanti, è per coprire il rumore del partito che fracassa nei Palazzi romani e per offrire a Mario Draghi il sospirato assenso su un piatto d’argento. Il nome del ministro grillino rimane misterioso, anche se gli occhi sono puntati su Stefano Patuanelli, più sobrio dei suoi colleghi e ben accreditato presso Pd e Leu. Ieri due voci beninformate lo davano per prossimo al giuramento al Quirinale – che avverrà in streaming, per la prima volta – con due soli handicap: è triestino come un altro ministro in pectore, e due triestini sono over quota, e non rappresenta il corpaccione del Movimento, che è invece meridionale. O almeno era. Nei sondaggi al 14,5% prima della svolta per Draghi, potrebbe subire una flessione importante, almeno stando al barometro di Twitter dove #iovotoNo è rimasto per l’intera giornata di ieri in testa agli hashtag di tendenza. Proprio sul social lancia il suo cinguettio di guerra Barbara Lezzi: «Farò di tutto per non essere annoverata tra i traditori del Paese».

LA LISTA DEI MINISTRI DEL GOVERNO DRAGHI

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.