C’è qualcosa di perverso e di osceno nel decreto che proclama che i porti italiani non possono più essere considerati “porti sicuri” cioè luoghi in cui uomini, donne e bambini salvati da un naufragio possano trovare la salvezza. Un solo articolo, cinque righe, un testo a otto mani, firmato da quattro ministri di peso: De Micheli, Di Maio, Lamorgese e Speranza. E politicamente trasversali: M5S, Pd, Leu, un tecnico. Cinque righe che rivelano qualcosa di terribile e allarmante: l’impotenza e la prepotenza che può impadronirsi del potere. Pensare di poter modificare gli obblighi internazionali con un atto amministrativo, quale è un decreto ministeriale, quando la nostra Costituzione riconosce in quegli obblighi un limite persino alla potestà legislativa dello Stato. Pensare magari che questo atto amministrativo sia più forte e vigoroso se lo si firma in quattro, finendo per svelarne proprio così la debolezza.

Sia chiaro, è falso dal punto di vista tecnico che i porti italiani, pur nella attuale situazione di emergenza sanitaria, “non assicurano i requisiti” per la classificazione di place of safety. Ma il governo per togliersi dall’impaccio di dover autorizzare lo sbarco dei 150 naufraghi della Alan Kurdi ancora a largo di Lampedusa, e di dover decidere su eventuali altri disperati in fuga dall’inferno libico nelle prossime settimane ha deciso di tagliare la testa al toro e di definire l’Italia un paese “non più sicuro.” Anziché predisporre tutte le misure necessarie a scongiurare la diffusione del contagio, a partire dalle più stringenti misure di quarantena su navi attrezzate o in terra, rispondendo così anche alle richieste di aiuto del sindaco di Lampedusa dove nel frattempo continuano i cosiddetti sbarchi fantasma, l’Italia preferisce addottare un provvedimento che non ha precedenti.

Qualche tecnico ministeriale deve aver convinto i ministri che fosse una furbata. Questo decreto si colloca in effetti nella scia dei “decreti sicurezza” salviniani. Come quelli gioca con le definizioni, con le classificazioni, con i requisiti, gioca con il diritto travolgendo lo stato di diritto. Il terribile decreto sicurezza-bis è ancora in vigore e il governo avrebbe potuto utilizzare quei divieti amministrativi all’ingresso nelle acque italiane che Salvini aveva usato l’estate scorsa. Sotto il profilo giuridico se non altro sono stati convertiti dal Parlamento. Ma qui sta la perversione, per ottenere lo stesso risultato di bloccare lo sbarco di 150 disperati, hanno voluto produrre un altro decreto altrettanto illegittimo e sproporzionato di quelli salviniani ma politicamente molto più ipocrita dal momento che si serve dell’ombrello dell’emergenza sanitaria.

Esattamente un anno fa, era l’aprile 2019, l’affermazione di Salvini che i porti libici fossero “porti sicuri” scatenava reazioni indignate, intervenivano la Commissione europea e l’Onu a smentire, intervenivano tutti ma proprio tutti gli esponenti del centrosinistra. Oggi non abbiamo lo stesso coro di indignazione per il fatto che l’Italia si definisca un “porto non sicuro” ma il gioco è lo stesso. È altrettanto sporco, solo più subdolo. Abbiamo vissuto un paio di anni in cui il dibattito politico è stato occupato e soffocato dall’uso strumentale del tema dell’emigrazione, dalla demagogia dell’invasione, dalla propaganda del “ci rubano il lavoro” per accorgerci ora, in piena crisi globale da pandemia che non sappiamo più come raccogliere la frutta e la verdura. È anche accettando supinamente atti di pelosa arroganza politica come il decreto sui porti che un Paese perde il buon senso e si perde.

Ho votato una sola volta la fiducia a questo governo, nel momento in cui nacque promettendo discontinuità. Una discontinuità che doveva concretizzarsi anche sulla capacità di governo dei fenomeni migratori. Dobbiamo chiedere con forza ai quattro ministri di riflettere e revocare quel decreto. Non è questione marginale rispetto a tutte le altre che l’emergenza ci pone davanti ogni giorno perché non sarà un trionfo di ipocrisia e di cinismo a portarci fuori dall’emergenza sanitaria, sociale, economica. Non saranno l’uso strumentale dell’epidemia da virus e la retorica bellica a mascherare lo strabismo di chi ci governa. Quello strabismo che fa dire al governo italiano che i porti italiani non sono sicuri e le carceri invece sì. Uno strabismo tragico se nei prossimi giorni, com’è probabile, avremo più morti in mare e nelle carceri.