Joe Biden, 77 anni, ex vicepresidente con Barack Obama, ha impiegato 33 anni nel tentativo di vincere una tornata delle primarie presidenziali (è accaduto per la prima volta sabato scorso in South Carolina). Ieri ne ha vinte ben 10 in sole 72 ore. Il Super Tuesday del 3 marzo è stato davvero super. Non soltanto per la quantità di Stati (14, più le Samoa americane) e di delegati in ballo (circa un terzo del totale). Ma anche per la remuntada più imprevedibile e sorprendente nella corsa per la Casa Bianca. «We are very much alive!», ha dichiarato Biden nel discorso della vittoria: per uno che Donald Trump apostrofa come “Sleepy Joe” dev’essere stata una bella soddisfazione.

Biden ha ottenuto vittorie pesanti in Virginia e nella Carolina del Nord. Ha confermato la sua forza negli Stati del Sud – Alabama, Arkansas, Oklahoma e Tennessee – dove conta sul consenso degli afroamericani che non dimenticano il suo feeling con Obama. Bene anche in Minnesota (dove ha pesato l’appoggio di Amy Klobuchar) e nel Maine (l’elettorato era in bilico) e molto più che bene nel Massachusetts (territorio di Elizabeth Warren, ferma a un deludente terzo posto).  Che dire, invece, di Michael Bloomberg? Forse che i soldi non fanno la felicità. Ma non fanno nemmeno una candidatura alla Casa Bianca. Nonostante la valanga di investimenti in denaro sonante, l’ex sindaco di New York conquista appena un pugno di delegati delle Samoa americane. Pochino per battere Trump.

L’indipendente Bernie esce sconfitto, ma non vinto. Il clamoroso comeback dell’avversario gli lascia qualche ammaccatura, ma il candidato della sinistra radicale mantiene il controllo nel Vermont, suo collegio di riferimento. Inoltre, dopo la netta vittoria nel Nevada, conferma il suo primato negli stati del Sud, dove pesa l’elettorato ispanico: Utah, Colorado e, soprattutto, California, lo Stato più grande e popoloso degli Usa, culla della cultura liberal americana. Dalla California, dove le operazioni di conteggio del voto sono lunghe, anche a causa dei voti espressi via posta, arriveranno a Sanders parecchi delegati.

Nel risultato di questo incredibile Super Tuesday pesa certamente il cambio di strategia dell’establishment del partito democratico. Il ritiro di Pete Buttigieg e Amy Klobuchar è arrivato in tempo per evitare che la frammentazione del campo centrale giocasse a favore dei candidati estremi. Nella decisione dei due ex concorrenti ha pesato certamente il calcolo sulla propria carriera futura – meglio rinunciare adesso, salvare la faccia e spuntare qualche importante incarico – ma non si può certo escludere qualche consiglio interessato da parte dei maggiorenti del partito. Tuttavia, sarebbe superficiale attribuire soltanto all’apparato dem – e ai sostegni pur importanti da parte di membri del Congresso e di sindaci di grandi città – l’onda lunga del successo di Biden. A differenza dell’elettorato repubblicano, molto omogeneo e concentrato, il campo dei democratici è molto vario: va dall’estrema sinistra di Sanders alla “quasi destra” di Bloomberg, dagli afroamericani ai latinos, dai ceti medi riflessivi delle metropoli ai lavoratori delle periferie. Solo Biden, in questo momento, ha la capacità di creare una broad coalition capace di raccogliere, tra i diversi ceti ed etnie, il consenso necessario per competere con Trump. I cittadini americani sembrano averlo capito.

Ecco perché la vittoria nel Texas, il secondo Stato più popoloso degli Usa, sembra una svolta cruciale per Biden. Collocato alla frontiera con il Messico, è un territorio di confine per eccellenza: qui si giocheranno le politiche sull’immigrazione negli anni a venire. Dai cowboys alla famiglia Bush, poi, il Texas ha una consolidata tradizione repubblicana e, dal 2015, è governato dal conservatore Greg Abbot. Di recente, la sua economia è diventata più dinamica e diversificata, sempre più indipendente dal petrolio. Le sue grandi città – Houston, Dallas, Austin, San Antonio – dal punto di vista economico e demografico crescono ben più rapidamente rispetto ad altre.

La capitale Austin è ormai la sede delle più importanti imprese informatiche e tecnologiche mondiali: molte compagnie della Silicon Valley hanno una loro sede qui. Molto forti anche i settori farmaceutico, biotecnologico e alimentare. Come negli altri Stati del Sud, in Texas il tasso di natalità è ben più alto rispetto al resto degli Usa. Viceversa, l’età media è molto più bassa rispetto a quella del resto del paese. Questi fattori demografici dipendono dalla sempre più importante presenza dei latinoamericani (11 milioni e mezzo di persone): secondo le statistiche recenti, supereranno la popolazione bianca entro il 2022. La forza dei latinos avrebbe dovuto favorire la corsa di Sanders. Ma non è andata così, a tutto vantaggio di Biden. Intanto, il mix di innovazione economica e di nuova demografia sta spostando sempre più il Texas verso i democratici. Trump non ne sarà contento. Ma da ieri Biden ha un motivo in più per essere ottimista.

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