Voi dite: Grillo è sparito dalla scena politica. Mamma mia, quanto vi sbagliate. Grillo domina la scena politica. L’ha invasa e la controlla tutta. Il suo populismo antipolitico è diventato l’anima di ogni schieramento. Destra e sinistra. Qual era lo scopo e la chiave del grillismo? Spianare la democrazia politica, espungerla dalla scena pubblica. Ecco, l’altra sera l’ultima conferma del suo trionfo. Una delle candidate più accreditate dai sondaggi nella corsa alla segreteria del Pd, cioè del partito pilastro del centrosinistra, ha proposto di ridurre il congresso a una votazione online. Lei è giovane, lo capisco, le piacciono le cose moderne: i podcast, i network, i social, i troll, i feed, le app, gli screenshot… Benissimo.

Però, probabilmente, ignora quale sia la natura di un partito. Grillo sa benissimo, invece, quale è la natura di un partito, e da diversi anni opera per annientarla. La sua idea di fondo è che un paese moderno debba liberarsi della sovrastruttura della politica, con le sue complicazioni, le sue dottrine, i suoi saperi, e poi le sue burocrazie, i suoi alambicchismi, le baroccherie. Grillo ha lavorato benissimo. Ha introdotto nell’animo profondo della società, e persino dell’establishment, l’idea che tutto ciò che è complesso è vecchio. Che tutto ciò che sta dietro è male. Che la sienza politica è fuffa o delitto. Che l’unico valore eticamente valido è la trasparenza e l’immediatezza. E dentro questo schema non c’è nessuno spazio per la politica, e dunque nemmeno per la vecchia democrazia politica perché – per ragioni persino lessicali – non c’è democrazia politica senza politica.

Cosa sono i partiti? Sono – erano – essenzialmente comunità democratiche e strategiche. Aggregavano persone legate tra loro da alcuni valori che non condividevano con tutto il resto della società e – in linea di massima – da interessi comuni, o comunque interessi accettati da tutti. I partiti erano parte della società, complementare e contrapposta con altri partiti. Per esempio i partiti di sinistra si radunavano attorno a un valore e un’aspirazione fondamentale: l’uguaglianza. Che non era un valore condiviso dai partiti di destra e nemmeno di centro, che invece ritenevano l’eccesso di eguaglianza e la riduzione delle differenze sociali come un impoverimento della società e un fattore di freno per l’economia e dunque per lo sviluppo. Mi fermo qui. Mi basta questo esempio per farmi capire. Dentro questi valori, questo recinto, si svolgeva una vita comunitaria ricchissima nei partiti. Il cui culmine, persino emotivo, era il congresso. Nel congresso si stabiliva la linea, talvolta si operavano svolte, si selezionavano i dirigenti.

Un congresso durava alcuni mesi e coinvolgeva in modo attivo e diretto almeno un milione di persone. Ciascuna di loro partecipava a decine di riunioni preparatorie, interveniva, discuteva, rafforzava le sue idee o le modificava, era protagonista nei congressi di sezione, poi in quelli cittadini, in quelli regionali fino alla gran messa cantata del congresso nazionale. Tutto questo era il carburante della democrazia. In forme e con intensità diverse tutti i partiti vivevano questa vita. Alcuni mescolavano alle strategie e al sistema delle idee anche il potere. Quasi tutti, in misura diversa, lo facevano. Poi è venuta Tangentopoli che ha sferrato un colpo micidiale allo stomaco dei partiti, piegandoli. Poi è venuto il grillismo e li ha dichiarati il male assoluto. Ai partiti è stata sottratta ogni risorsa finanziaria e poi tutta la dignità e il prestigio che avevano. Con la collaborazione massiccia del sistema dell’informazione, che si è via via grillizzato fino a coincidere col grillismo.

Ecco, le primarie che hanno sostituito i congressi nel Pd sono una forma di grillismo. L’idea di abolire anche i gazebo, di proibire i contatti umani tra militanti, e di risolvere tutto con un giochino moderno di potere come è il voto online, è l’ultimo passo. Il partito è abolito. È la nuova e sofisticata forma del totalitarismo. È il trionfo del grillismo. Io poi avrei una proposta un po’ tradizionalista: ma se almeno il nome del nuovo segretario del Pd fosse deciso con una bella sfida a tresette non sarebbe almeno più umano.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.