Sembra inverosimile, ma nell’epoca dei media e dell’informazione, della cultura e del sapere a “portata di tutti”, la maggior parte dei membri della collettività resta assopita, fuorviata e – per certi aspetti – manipolata. E ciò appare ancora più evidente quando si parla di giustizia, dell’importanza e della funzione del processo, dei tempi e del ruolo delle parti processuali: giudici, avvocati, imputati e testimoni, protagonisti della vicenda giudiziaria improntata alla ricerca della verità dei fatti.

Lo spazio sacro del processo, la sua celebrazione in determinate forme, il ruolo ben definito di ogni parte, assolve alla funzione principale della tutela delle garanzie fondamentali che fanno di un sistema sociale la visione puntuale e razionale della prima esigenza collettiva: “definire” il cerchio e riparare ai torti subiti, “consegnando consolazione” per chi ha subito una perdita e “rieducando” il reo affinché possa reintegrarsi nel sistema. Eppure, ad oggi, la funzione del processo e con essa le garanzie che tutela, sono messe seriamente in pericolo da un legislatore miope che tenta di “chiudere il cerchio” attraverso pratiche grossolane e incomprensibili. La delicata questione delle intercettazioni, per esempio, e l’udienza penale da remoto rappresentano angolazioni di visioni distorte di chi vuole eliminare ogni forma di tutela a garanzia dell’imputato, paradossalmente colpevole ancora prima di essere processato. Chi non conosce la celebre pratica del capro espiatorio sul quale scaricare tutte le colpe della collettività? Ai giorni nostri questa pratica risponde all’esigenza di scaricare semplicemente aggressività e rabbia sull’altro.

Sembra che la sete di una falsa giustizia sia la vera protagonista indiscussa al centro del dibattito politico che risente a sua volta di un’opinione pubblica spietata, figlia di una comunicazione “orientata”. La spettacolarizzazione del processo penale – alimentata da una deriva giustizialista – portando al centro della scena mediatica l’imputato quale reo ancor prima della sentenza di condanna, ha per molti aspetti minato le garanzie a tutela dei diritti fondamentali, esasperando il conflitto tra diritti contrapposti: le istanze di imparzialità del giudizio oscillano tra il diritto di cronaca giudiziaria e l’insieme di altrettanti diritti di pari se non superiore dignità (vita privata, riservatezza, presunzione di innocenza).

Assistiamo quindi a un processo penale sdoppiato che procede su binari affiancati: da un lato quello celebrato nei tribunali, improntato sulla ricerca della verità, e dall’altro quello “esposto” attraverso i media, svolto nei talk-show e sui social alla ricerca del colpevole a tutti i costi. La presunzione di innocenza, su cui si fonda il sistema processuale delle moderne democrazie, è un diritto fondamentale e un principio irrinunciabile che va protetto ad ogni costo. E sarebbe appena il caso di riflettere seriamente sulla possibilità di una previsione compensatoria o risarcitoria tanto per l’innocente quanto per il reo, entrambi vittime della spettacolarizzazione della propria vicenda processuale, lesiva di qualsivoglia diritto in ragione di un giudizio parallelo svincolato dall’esigenza di accertamento processuale.