“Quando facevo le rapine e di legalità non ne sapevo niente, i ragazzi intorno a me mi imitavano, cercavano, volevano stare con me. Ora che mi alzo la mattina e lavoro dalle otto a mezzanotte, mi guardano e mi dicono che sono un bravo ragazzo, uno scemo. Ecco perché i ragazzi scendono con il coltello di casa. Si sentono più sicuri, più forti”. Raffaele Criscuolo, 27 anni, conosce bene le dinamiche che nelle ultime settimane hanno portato in città una incredibile ondata di violenze. Non troppo tempo fa Raffaele è stato un ragazzino lasciato solo che poteva mettere a ferro e fuoco i vicoli dei Quartieri Spagnoli dove è nato e cresciuto.

Faceva le rapine, poi è stato arrestato e portato prima a Nisida e poi a Santa Maria Capua Vetere. Un’infanzia negata e un percorso di solitudine ancora più tormentato finchè non ha trovato sul suo cammino qualcuno che ha creduto in lui, che gli ha dato speranza con un corso da pizzaiolo e poi con la possibilità di lavorare. E poi ha trovato anche Martina, la sua compagna con cui ha avuto anche un bambino, Camillo, che oggi ha 6 anni, che gli ha fatto capire che l’amore, quello che da piccolo non ha mai avuto, è il motore che muove tutto e rende migliori. E da allora il suo percorso è nella legalità, fatto di sudore della fronte e maniche rimboccate per costruire per se e la sua famiglia un futuro migliore.

Raffaele, orgoglioso di ciò che è oggi, non dimentica ciò che è stato non più di un decennio fa e ci aiuta a capire cosa sta succedendo tra i giovani napoletani che sempre più spesso cedono alla violenza. Non c’è fine settimana o festività che passi senza che il giorno dopo si contino i feriti. Tra le vittime e gli assalitori sono sempre giovanissimi. È successo anche in una bella giornata di giochi al mare, poche settimane fa, allo Scoglione di Marechiaro, dove un 16enne finì in ospedale con l’addome squarciato e gli intestini in mano. Cosa sta succedendo? Cosa scatta negli animi di quei ragazzini che vedono il coltello come un prolungamento della mano?

“Quando un ragazzo da una coltellata a un altro – racconta Raffaele – è come se salisse di grado. Da quel momento di quel ragazzo i suoi amici nel quartiere si parleranno solo bene. La storia andrà di bocca in bocca e si farà ‘propaganda’ su di lui come persona che fa, che non ha paura. Se un ragazzo da una coltellata a un altro davanti magari a una comitiva di 50 ragazzi, in poco tempo inizieranno a seguirlo su Instagram 200 persone. Oggi anche solo per un like, per la notorietà, nel bene e nel male, i ragazzi sono disposti a tutto”.

Poi, secondo Raffaele, c’è anche un’altra questione e riguarda la rivalità tra gruppi di quartieri diversi: “Per esempio tra Quartieri Spagnoli e Montesanto, sono due quartieri separati e allora si fanno faide: ‘io son di qua, tu sei di la’. Non c’è unione tra i giovani, ma una continua competizione. Si guarda a chi ha la scarpa che costa 100 euro, chi quella da 200…”. Raffaele, che ha vissuto un’infanzia scorrazzando tra i vicoli di Napoli, il mondo che cinematograficamente Gomorra ha rappresentato lo ha vissuto per un periodo della sua vita. Ed è molto critico con la serie tv: “Mi fa rabbia – dice – perché sembra far capire ai giovani che si può avere tutto e subito solo con il passaggio di un pacco di cocaina. Non ti fa vedere tutta quella sofferenza che c’è dietro realmente. Io se potessi Gomorra lo rigirerei facendo vedere tutto il sangue, i problemi, le paure e le angosce”.

Racconta la difficile realtà che vivono i giovani e quanto sia stato per lui difficile rinunciare al guadagno facile della illegalità e abbracciare la scelta della legalità. “È difficile essere coerente con questa scelta di vita – dice – È difficile svegliarsi presto al mattino per andare a lavorare se comunque a fine mese non riesci a far quadrare i conti. È difficile lavorare e avere comunque il pensiero di non sapere se riuscirai a pagare l’affitto e mettere il piatto a tavola. Ad oggi resto coerente con le mie scelte, però non è facile”. Questa sfiducia nel futuro e nella possibilità di trovare un lavoro appagante è comune a tanti giovani. “Soprattutto quando poi vedono i loro padri che non ce la fanno a mettere il piatto in tavola e che magari cedono alla criminalità o alla violenza – continua Raffaele – Per un bambino il papà è un super eroe. Come può credere il contrario?”.

A monte di tutto ciò, per Raffaele, c’è un totale distacco tra le istituzioni e i giovani. “A scuola se sei più euforico o sveglio degli altri, cercano di promuoverti così non dai più fastidio. Ti tolgono da davanti e portano avanti gli altri. Poi si commettono reati e da quel momento è come avere un marchio addosso a vita. Anche io che ho avuto il mio riscatto sociale, se mi ferma la polizia e legge i precedenti, mi trattano come un delinquente, nonostante io abbia pagato tutto quello che avevo da pagare con la legge. Penso che prima di definire tale un ragazzo bisognerebbe dare delle chances, delle alternative. I ragazzi vanno ascoltati”.

Per Raffaele, quello che sta succedendo a Napoli è una reazione a catena che si è pericolosamente innescata e che andrebbe stoppata. “Questi ragazzi che tirano fuori il coltello anche solo per uno sguardo di troppo vanno rieducati – dice – ma prima di questo vanno rieducati i loro genitori e prima ancora le istituzioni. Finchè non si farà ciò, i ragazzi finiranno sempre nei guai e Napoli abbandonata a se stessa”.

E lancia un appello a tutti i ragazzi che sono oggi quello che lui un tempo non troppo lontano è stato: “Ciò che state facendo non farà altro che peggiorare la vostra vita, la vostra situazione. Non farà altro che rendervi persone da evitare e queste persone prima o poi restano sole nella vita. Innamoratevi della cultura, di Napoli, di uno sport. È questo che rende davvero liberi. Lasciate a casa i coltelli che non vi portano a niente, è solamente un’autodistruzione”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.