I referendum sulla Giustizia continuano a crescere nel sostegno popolare. Le firme arrivano al centro di raccolta del Partito Radicale dove Maurizio Turco e Irene Testa ne contano oltre cinquecentomila. Quorum raggiunto, quindi, ma l’obiettivo dei promotori rimane un milione: Pannella insegnava che la mortalità di certi referendum, in sede di verifica delle firme, può essere alta. Ma i moduli tornano copiosi nella sede di via Torre Argentina, densi di sottoscrizioni, sigle, vidimazioni comunali. E da ieri in teoria si possono raccogliere anche online, per chi usa lo Spid; si attendono i decreti attuativi su cui «stiamo lavorando con Calderoli», ci informano dal comitato referendario. Sulle spiagge del Circeo si incontrano quelli del Partito Liberale Europeo. A Milano Marittima i gazebo della Lega. A Roma davanti alla Feltrinelli di Largo Argentina si è visto all’opera Roberto Giachetti in veste di pubblico ufficiale, a controfirmare. La media di ciascun banchetto è tra le 200 e le 300 firme al giorno, da Nord a Sud.

In questa grande mobilitazione, più che mai trasversale, brilla per assenza il Pd. Enrico Letta non firma e i suoi non sembrano volerlo contraddire, ma è stato lui stesso a rassicurarli: «Non siamo una caserma». Non gli hanno creduto, i capi corrente stanno lì a cercare di capire cosa conviene fare per non sbagliare. Il primo a farsi coraggio e ad aprire un varco è stato Gianni Pittella, garantista nato sotto il segno socialista. Il suo gesto era stato preceduto da un cauto via libera dell’ex capogruppo Andrea Marcucci: «Non li firmerò ma condivido chi lo farà con spirito riformista». Goffredo Bettini ha preannunciato di firmarne una parte. Doveva andare nella sede radicale martedì scorso, poi si sono telefonati lui e Turco e hanno preso appuntamento a fine mese, quando il generale agosto renderà le armi. «Come spinta al dibattito e all’azione concreta ho annunciato da tempo che e avrei firmato alcuni dei referendum proposti dai radicali. Sicuramente firmerò il referendum che riguarda la custodia cautelare. Riferendomi anche al lavoro prezioso che nel passato il ministro Andrea Orlando ha svolto su questo tema. Così come mi pare sensata l’abrogazione della legge Severino in materia di candidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo, ben prima di un accertamento definitivo di responsabilità. Infine, seppure sia un tema aperto e controverso, ritengo che la separazione delle carriere nella magistratura garantisca una maggiore terzietà del giudice, nel corso del processo, determinando un equilibrio paritario tra accusa e difesa», argomenta il consigliere politico di Zingaretti e tra i più vicini di Letta, che però sul tema giustizia rimane un guru inascoltato.

L’area di Franceschini, che di tanto in tanto dà il benvenuto a qualche rifugiato ex renziano, impone il suo niet. Walter Verini, già responsabile giustizia del partito, si incarica di precisare che il percorso delle riforme si fa in Parlamento. Dario Parrini, segretario toscano del Pd, si guadagna i galloni dell’ex renziano sul campo. E se il leader di Italia Viva ha firmato con una diretta Facebook i quesiti referendari in piazza, ecco Parrini che lo disconosce: «I referendum sono sbagliati nel merito e nel metodo». Uno che con Parrini era dietro le quinte della Leopolda, Giorgio Gori, pensa l’opposto: «Condivido la scelta di Goffredo Bettini sui Referendum Giustizia. Anch’io firmerò quelli su carcerazione preventiva, separazione delle carriere e legge Severino». Non è un problema se tra i promotori c’è Alberto da Giussano. «Li appoggia anche la Lega? Bene. Dopo la legge Cartabia, avanti per una giustizia giusta, che rispetti le persone», ha twittato il sindaco di Bergamo.

Convivono sotto le comuni insegne dei Dem tutte le posizioni e le sfumature. Ma giorno dopo giorno, la diga pare sempre più sul punto di cedere. Chi conosce le dinamiche di casa Pd, sa come funziona: segnale dopo segnale, la maggioranza silenziosa si fa coraggio e prima o poi si riunisce per agire insieme. Ed ecco che nelle ultime ore i segnali arrivano. Da ieri anche Massimiliano Smeriglio, eurodeputato eletto da indipendente nelle liste del Pd, ha aggiunto il preannuncio del suo sostegno. «Firmerò i quesiti referendari sulla carcerazione preventiva, sulla legge Severino e sulla separazione delle carriere. Non firmerò i quesiti sulla responsabilità civile dei giudici. Su un tema così importante come la giustizia che investe e spesso travolge la vita di milioni di persone è un bene che oltre al lavoro parlamentare ci sia un dibattito di massa e un voto popolare».

Ed è arrivata anche la firma di Luciano Pizzetti, ex sottosegretario alle Riforme. «Ho firmato sulla separazione delle carriere e quello sulla responsabilità civile, per il valore di sistema che hanno questi due quesiti. Perché il Parlamento attuale e quello futuro, sulla base di una spinta popolare, vengano sollecitati a procedere sul tema della giustizia». Una scelta che non contrasta con il sostegno alla riforma Cartabia: «Il mio giudizio sulla riforma Cartabia è tutt’altro che negativo – sottolinea Pizzetti -. Resta un primo passo importantissimo. A maggior ragione, non devono esserci passi indietro ed è importante che in questo senso venga un segnale dai cittadini. Proprio la vicenda Cartabia è stata importante per capire quanta resistenza c’è stata in Parlamento, io penso ci siano i rischi di una contro riforma. Del resto, il neo leader del M5s Conte ha subito chiesto di votare M5s per modificare la riforma Cartabia. È bene che l’attività del Parlamento venga accompagnata con una responsabilità diretta che viene dai cittadini”.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.