Il siluro arriva a tarda sera, quando Matteo Renzi, che ha riunito il vertice di Italia Viva, dà fuoco alle polveri. Se il governo mantiene la barra a dritta sulla riforma Bonafede, a Italia Viva non rimarrà che procedere con la votazione di una mozione di sfiducia individuale per il Guardasigilli. Una misura estrema e finora esclusa, indice del livello altissimo della tensione in maggioranza.

Un nuovo livello dello scontro, dopo l’accordo raggiunto fra M5s, Pd e Leu, che potrebbe prendere corpo già oggi, nelle commissioni competenti, durante il confronto sul dl Milleproroghe, se arrivasse l’emendamento che contiene il cosiddetto “lodo Conte bis”, frutto dell’accordo interno alla maggioranza ma senza Italia viva. È atteso alla Camera, dove però al momento non è ancora stato depositato. Italia Viva resta sulle barricate. Matteo Renzi annuncia: «Non molliamo». E Italia Viva prepara il documento di sfiducia individuale intestato ad Alfonso Bonafede. Dall’opposizione, intanto, Forza Italia spiega di essere pronta a chiedere un incontro al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, se l’emendamento dovesse entrare nel dl.

Il fine settimana aveva visto Carlo Calenda, in un incontro pubblico, indirizzare i suoi strali verso Renzi, accusato di essersi infilato in un vicolo cieco con la querelle sulla prescrizione. Le voci di una sua candidatura a sindaco di Roma si rincorrono e nulla potrebbe rafforzare di più la sua posizione, oggi, dell’ergersi a paladino del delicato equilibrio costruito intorno a Zingaretti e a Franceschini.

Intanto il Pd di Roma perde la sua sede-simbolo (quella che per anni è stata in via dei Giubbonari). Non un posto come un altro: l’ex sezione Pci cui è stata iscritta negli anni che furono l’intellighenzia romana e l’intera direzione nazionale. A conquistare il circolo più centrale della Capitale è Italia Viva, che issa la sua prima bandiera territoriale quasi conquistando una trincea, in giornate complicate per il dialogo con l’alleato Dem.

E infatti dopo che per tre giorni gli spin doctor del PD avevano spiegato come Renzi fosse nell’angolo ecco emergere un’altra verità: quel che resta della maggioranza non ha ancora deciso che cosa fare sul Lodo Annibali. E Italia Viva non indietreggia. Pertanto se ci sarà la richiesta di un voto di fiducia sul Governo, Italia Viva rilancerà sulla mozione di sfiducia a Bonafede. La mozione verrà presentata al Senato dove Renzi è convinto di portare tutti i voti di IV, tutti quelli delle opposizioni (difficile ipotizzare il soccorso azzurro proprio sulla giustizia) e qualcuno anche del Pd, con gli occhi puntati soprattutto su alcuni elementi borderline. A quel punto il ministro Bonafede sarebbe costretto a dimettersi. «Noi non molliamo nemmeno di un centimetro, spiega Renzi ai suoi che riunisce stasera a Palazzo Giustiniani. Dicono che io mi fermo per aspettare le nomine. Si vede che non mi conoscono».

Rispondono all’unisono Cinque Stelle e Dem. Per i primi, parla Vito Crimi: «Si vuole far cadere il governo? Lo si dica chiaro e tondo». Per i secondi, il capo delegazione Dario Franceschini: «Se un partito di maggioranza minaccia di sfiduciare un ministro, sta minacciando di sfiduciare l’intero governo». E ancora Verini, responsabile Giustizia Dem: «Renzi sta mettendo in discussione la tenuta del governo, attaccando un ministro di primo piano».

Pronta la replica di Giachetti: «Il diritto parlamentare secondo Franceschini: se un partito di governo presenta sfiducia individuale ad un ministro è sfiducia a tutto il governo. Se 3 partiti al governo votano una norma su cui il quarto è contrario è tutto normale. Il solco dei nuovi progressisti».

Fa da pompiere Andrea Romano, portavoce di Base riformista, ponte oggi più che mai sospeso tra Pd e Italia Viva, in giornate ventose. «Non è il momento delle dichiarazioni ad effetto, né delle provocazioni. Se davvero si vuole arrivare ad una buona soluzione sul nodo prescrizione, nell’interesse prima di tutto della giustizia e dello Stato di diritto, serve un “disarmo reciproco” tra coloro che in queste ore hanno lanciato ultimatum e penultimatum».

Roberto Giachetti, deputato di Italia Viva tra i più battaglieri, al Riformista fa sapere che il Rubicone è varcato. «Noi abbiamo detto in tutte le lingue che chi pensa che su una battaglia a difesa della Costituzione non andiamo fino in fondo, ha capito male. Non ci conosce. Se proseguono con le loro forzature… la mozione di sfiducia è pronta. E per respingerla devono avere i numeri», che al momento sono numeri negativi. Ma rimane il ruolo di Giuseppe Conte, garante dell’esecutivo. Se si sfiducia il capo delegazione del primo partito al governo, non si stacca solo una spina: si rischia il blackout. «Quando ho sentito la prima volta Zingaretti dire che Conte poteva essere il futuro leader dei progressisti sono rimasto basito. Vista però la posizione che il Pd sta tenendo sulla prescrizione e l’asse che ha stretto con Bonafede ho capito che era una scelta lucida, almeno quanto la mia di lasciare il Pd», chiosa Giachetti.

A la guerre comme à la guerre.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.