Pochi lo sanno, ma Walter Ricciardi è un attore. E con questo non voglio dire che sappia fingere o dissimulare. Per anni, prima di diventare presidente dell’Istituto superiore di sanità e consigliere del ministro Roberto Speranza, ha recitato al fianco di Mario Merola, Michele Placido e Stefania Sandrelli. Del suo ultimo “colpo di teatro”, però, nessuno sentiva il bisogno, specialmente dopo il surplus di tensione provocato dalle recenti esternazioni del governatore De Luca e dall’ultimo dpcm firmato dal premier Conte. Ricciardi ha evidenziato come il lockdown per Napoli e Milano sia «necessario» e come, in entrambe le città, si rischi di contrarre il Covid «entrando al bar o prendendo l’autobus». Le sue parole hanno scatenato la reazione dei sindaci interessati, Luigi de Magistris e Giuseppe Sala, che hanno scritto a Speranza per capire se quella espressa da Ricciardi sia un’opinione personale o rispecchi la posizione del governo.

La querelle riaccende i riflettori su due temi decisivi per il superamento dell’emergenza sanitaria. Il primo è sostanziale e riguarda il ruolo dei sindaci nella gestione della pandemia. De Magistris e Sala hanno chiesto a Speranza se l’opinione di Ricciardi sia «basata su dati e informazioni che il Ministero ha e noi non abbiamo». Non è la prima volta che il sindaco di Napoli lamenta di non essere puntualmente informato sull’evoluzione della pandemia. E la rivolta di venerdì sera dimostra a quali pessimi risultati abbia condotto la strategia basata sulla sostanziale estromissione dei primi cittadini dalla gestione dell’emergenza. È logico che nell’Unità di crisi campana sieda un referente dell’Anci, nella fattispecie il sindaco di Polla, e non il primo cittadino di Napoli che è anche il numero uno della Città metropolitana? No, soprattutto se si pensa che nel Napoletano risiedono circa tre milioni di persone, cioè più della metà della popolazione complessiva della Campania, e che in quella stessa area si concentra la maggior parte dei malati di Covid registrati nella regione. Questa esclusione è ancora più inconcepibile in un contesto come quello del capoluogo campano, dove le nefaste conseguenze del lockdown sono amplificate dalla presenza di lavoro nero e criminalità dilagante. E così, tra Unità di crisi e cabine di regia varie, a livello nazionale e locale manca una sede in cui tutte le autorità effettivamente interessate possano adottare provvedimenti rapidi e consapevoli.

Le parole di Ricciardi, però, meritano una riflessione anche sotto l’aspetto comunicativo. Il consulente del ministro usa l’ormai consolidato “metodo Casalino” che prende il nome dal portavoce del premier Conte e consiste nel lasciar trapelare indiscrezioni sui provvedimenti destinati a essere firmati di lì a poche ore. L’obiettivo? Sondare l’umore dell’opinione pubblica o preparare quest’ultima alle ricorrenti misure restrittive. È una strategia comunicativa che, con tutta evidenza, si fonda sul terrorismo psicologico e perciò risulta assai simile a quella utilizzata dal governatore campano De Luca, capace di esibire la tac di un paziente pur di giustificare la sua discutibile gestione dell’emergenza Covid. Abbiamo visto quali possano essere le conseguenze di una comunicazione tanto aggressiva. Anche Ricciardi e Speranza dovrebbero tenerne conto: la rivolta di Napoli non ha insegnato nulla?

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.