Rivendica il suo “no” al “decreto Ucraina” e all’aumento delle spese militari. Ha parole durissime contro i «veri putiniani che andrebbero cercati anche tra chi sostiene il governo Draghi». In questa intervista a Il Riformista, Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra Italiana e deputato di LeU, affronta di petto i temi della guerra. Senza sconti per nessuno.

La Nato avverte: “la guerra durerà anni. Qualcuno si opporrà?”. È il titolo di prima pagina di questo giornale a commento delle dichiarazioni del segretario generale della Nato, Stoltenberg. Lei come la vede?
Quelle di Stoltenberg sono dichiarazioni, valutazioni inquietanti. Ci auguriamo che non sia così. Ma augurarselo non basta. Di fronte al perdurare della guerra è ogni ora più urgente aumentare l’iniziativa e la pressione perché la guerra finisca, perché ci sia un cessate il fuoco, perché ci sia il ritiro delle truppe, perché finisca questo orrore. La guerra produce ogni giorno, in terra ucraina, un numero di lutti che costruisce una catena infinita. E che produce ogni giorno, fuori dall’Ucraina, effetti e conseguenze che rischiano di essere molto pesanti da ogni punto di vista. Assumere questa prospettiva, quasi normalizzandola, rappresenta un orizzonte che io credo debba essere messo al centro di una iniziativa, innanzitutto dall’Europa, ancora più decisa e più forte perché la guerra si fermi il prima possibile, perché si apra in modo solido e stabile una prospettiva diplomatica di trattativa che chiuda le ostilità e ricostruisca un orizzonte di pace e di stabilità.

Lei è stato tra i parlamentari, una trentina, che hanno votato contro il “decreto Ucraina” e all’innalzamento delle spese militari. Per questo una certa stampa in mimetica l’ha ficcato tra gli amici di Putin. Come replica?
Io sono stato tra coloro che hanno votato prima contro l’invio delle armi all’Ucraina e poi contro l’aumento delle spese militari. Assumo, sul primo punto, la domanda che anche altri si sono fatti dando però una risposta diversa. Ho fatto quella scelta perché resto convinto che le armi chiamano armi, che l’escalation produce escalation. Ho fatto quella scelta in modo ponderato e convinto. E la rifarei. Ma su quel punto do atto a chi ha fatto scelte diverse dalla mia di non essere per questo necessariamente iscritto al partito della guerra, di non essere per forza un amico della guerra o qualcuno che la vuole. L’aumento delle spese militari invece lo trovo una follia. Una follia dal punto di vista del contesto nel quale siamo e anche dal punto di vista della prospettiva a cui allude. E lo trovo una follia per il modo con cui è stato argomentato, giustificato, sostenuto, cioè in relazione a quello che accade oggi in Ucraina. Una scelta che peraltro non ha nulla a che vedere con l’auspicabile, ma a oggi totalmente assente, prospettiva concreta di una difesa europea. Di fronte a tutto questo, in questo Paese accade una cosa, insieme sconvolgente, pericolosa, e al tempo stesso grottesca…

Vale a dire?
Siamo di fronte a una guerra devastante. E il problema non è chi l’ha provocata, la Russia di Putin, chi la subisce, il popolo ucraino, delle armi che la combattono e l’alimentano. No, il problema di questa guerra sono i pacifisti. C’è una incredibile caccia al pacifista. Editorialisti che passano il loro tempo, nei loro comodi salotti, a stilare liste di proscrizione, a costruire improbabili alleanze, tutte unite da un incredibile filoputinismo presunto. Anche perché, come ho avuto modo di ricordare in diverse occasioni, anche in Parlamento, in questi giorni terribili, se qualcuno cerca gli amici di Putin, vada a guardare innanzitutto in una parte rilevante del governo Draghi, non certo tra i pacifisti. Putin, con la sua piattaforma, è stato in questi anni il principale finanziatore, sostenitore, organizzatore, della peggiore destra internazionale. E a chi ha aperto la caccia al pacifista, andrebbe ricordato che questa guerra è anche alimentata dalle armi che l’Italia ha venduto a Putin. Andassero a cercare gli amici di Putin tra quelli che hanno venduto armi per centinaia di milioni all’autocrate russo, armi che vengono utilizzate anche contro i civili ucraini. Che i pacifisti possano da un lato essere indicati come gli amici di Putin, e dall’altro essere all’indice del pubblico ludibrio, come il problema, beh, questo è il segno di un rovesciamento della realtà, di un imbarbarimento non solo politico ma anche culturale. Che porta con sé un’altra palese contraddizione.

Quale?
Molti giustificano la retorica bellicista, o comunque la necessità di armarsi, di arruolarsi dentro una dialettica binaria in cui non c’è nessun altro spazio che per l’amico o il nemico, con il ritorno di formule che purtroppo già in passato abbiamo sentito risuonare molte volte e che hanno portato a veri e propri disastri: penso alla “Guerra di civiltà”, lo scontro tra i nostri valori e i valori, o per meglio dire, i disvalori degli altri, tra democrazie liberali e autocrazie. Pensi a quanta contraddizione esiste in chi, in nome della difesa dei valori delle democrazie liberali e plurali, costruisce l’indice di proscrizione, accusa di diserzione e dunque sostanzialmente sogna e prova a buttare giù dall’ “albero” del dibattito politico permesso e accettato, chiunque sia portatore di opinioni diverse.

La “Guerra di civiltà” viene oggi declinata in termini di democrazie liberali vs autocrazie, e del campo democratico di cui una delle espressioni sarebbe la Nato…
A chi si arma di questa declinazione aggiornata della “Guerra di civiltà” per mettere all’indice i pacifisti, andrebbe chiesto: ma scusate, in questa guerra di valori, Erdogan in quale civiltà e campo di valori lo piazzate? Stiamo parlando di un signore che non Fratoianni ma il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha definito, con efficace semplicità di parola, dittatore, salvo poi spiegare che con i dittatori si tratta. Del resto, come si vede, con i dittatori si tratta sempre, anche quando fanno la guerra. Perché l’altra incredibile vicenda di questa situazione, è che mentre la retorica bellicista tende ad escludere dalla discussione chiunque sollevi dubbi, perfino sul fatto che sia utile e necessario aumentare di 13 miliardi all’anno la spesa per armamenti in un Paese che già ne spende oltre 25 all’anno, mentre tutto questo avanza, noi assistiamo a una continua trattativa con la Russia di Putin, solo che non una trattativa orientata a costruire da parte dell’Europa non una soluzione di pace, ma si tratta sul gas, sulle materie prime. Con la stessa facilità con cui si inviano le armi, si decide l’aumento della spesa militare, si alimenta la retorica bellica, con la stessa impressionante facilità e faccia tosta, sul gas si è pragmatici, trattativisti, pur sapendo che con i proventi della vendita del gas all’Europa, oltre 800 milioni di euro al giorno, Putin finanzia la sua guerra d’aggressione.

Lei è stato protagonista di molte battaglie in difesa dei più indifesi, come i migranti lasciati morire nel Mediterraneo o respinti nei lager libici. Partendo da questa chiara scelta di campo e guardando al variegato mondo della sinistra e a quello pacifista, le chiedo: perché c’è chi fa ancora fatica a dire che in questa guerra la Russia di Putin è l’aggressore?
Innanzitutto voglio dire che dentro questo mondo, di chi in questi anni ha lavorato sul terreno dell’immigrazione, della difesa dei più deboli, in quel mondo non c’è alcuna ambiguità. Pensiamo ad organizzazioni come Mediterranea, che per prime hanno proposto pratiche dal basso d’interposizione, la proposta che Luca Casarini ha avanzato, ormai un po’ di tempo fa, dalle pagine del vostro giornale. Una presa di posizione nettissima, e anche una disponibilità sempre in prima fila, a metterci non solo la faccia ma anche il corpo. Quelle ong hanno organizzato più di una carovana in territorio ucraino, non solo al confine. Sono andate a Leopoli, ancora qualche giorno fa, a portare aiuti e ad aiutare i profughi a venire via dal territorio del conflitto. Detto questo, che a me pare il dato di gran lunga più importante, è vero che esiste in alcuni settori, marginali, una reticenza. Che io considero del tutto inaccettabile. Vede, io condivido molto il discorso di Luigi Manconi che invita tutti ad assumere il punto di vista delle vittime. Ciò che non mi convince è l’atterraggio, sul piano dell’invio delle armi, come immediata risposta all’assunzione di quel punto di vista. Ma quel punto di vista è decisivo. Il punto di vista delle vittime è sempre decisivo. Vale quando aiuti i migranti che rischiano di morire nel Mediterraneo o quando prendi le parti dei più deboli nelle periferie urbane di qualsiasi delle nostre città, schiacciati dalla diseguaglianza, dallo sfruttamento, dal precariato. E tanto più vale dentro il territorio di una guerra combattuta in modo asimmetrico: l’aggressione della grande potenza russa e la condizione di aggrediti dei cittadini e delle cittadine dell’Ucraina. A ciò aggiungo che nei discorsi di Putin c’è il rigurgito esplicitamente neo imperiale della Madre Russia che nulla ha a che fare con la resistenza di Stalingrado o cose del genere. Il punto non è se dobbiamo stare con chi è aggredito, gli ucraini. Questo per quanto mi riguarda, è fuori discussione. Il punto è come si fa a rendere questo prender parte più efficace e a non trasformarlo in un elemento che rischi di produrre ulteriori allargamenti del conflitto. Chi sostiene “né con Putin né con la Nato”, non mi avrà mai al suo fianco. Il punto non è espungere dal giudizio cosa sia stata la politica della Nato in questi decenni. Il mio giudizio su questo è sempre stato negativo. Ma pensare che ci possa essere un automatismo meccanico tra questa politica e l’invasione di Putin dell’Ucraina, è un errore. Un grave errore. È del tutto inaccettabile qualsiasi reticenza. Ci vuole il coraggio e la nettezza di una posizione che però proprio perché assume un punto di vista, non rinuncia alla complessità.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.