Massimo Giletti ha detto la verità. Ha invece mentito e calunniato il giornalista, Salvatore Baiardo, il gelataio di Omegna che prima ha mostrato una vecchia foto in cui, a suo dire, erano ritratti insieme un giovane Silvio Berlusconi con il generale Francesco Delfino dei carabinieri e il boss Giuseppe Graviano, ma poi ha ritrattato davanti ai pubblici ministeri. La Cassazione ha respinto il ricorso del professor Carlo Taormina, difensore del campione del dico-non dico, confermando il provvedimento del tribunale di Firenze che disponeva gli arresti domiciliari. Può tirare un bel sospiro di sollievo la procura della repubblica di Firenze, titolare dell’inchiesta-fisarmonica sulle stragi del 1993, una sorta di “Trattativa-due” che necessita di continuo ossigeno dopo il fallimento della prima a Palermo. Un vecchio fascicolo siciliano che ha viaggiato da Palermo a Caltanissetta, poi emigrando al nord al seguito del procuratore, prima sostituto poi aggiunto, Luca Tescaroli, fino a Firenze.

Sempre con un unico obiettivo: l’addebito di quelle stragi, nelle vesti di mandanti, a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Quattro volte archiviato. E la quinta, prevista per il dicembre del 2022, mancata per l’improvvisa comparsa sulle scene delle trasmissioni “Non è l’arena” e “Report”, di Salvatore Baiardo. Salvatore di nome e di fatto dell’inchiesta eterna. Di lui il tribunale del riesame che l’aveva condannato ai domiciliari per la calunnia nei confronti di Giletti (ma senza l’aggravante mafiosa richiesta dalla procura), aveva scritto che “allude, dice, afferma e poi nega, gioca con le parole, un soggetto che ha dimostrato di sapere molte cose e che nel contempo non è attendibile”. Eppure questo personaggio inattendibile è stato per mesi il deus ex machina di intere pagine dei quotidiani di riferimento delle procure e il protagonista di una serie di trasmissioni. Persino una in cui l’avvocato Antonio Ingroia, uno dei campioni della “Trattativa Uno”, aveva messo per una sera ancora la toga e l’aveva interrogato con il piglio del pm “antimafia”. Ma si sa che i giocatori di poker la vincono sempre.

Così la storia della famosa foto che c’è e non c’è, è stata molto utile a far tenere aperte, pur se dopo trent’anni, l’inchiesta sulle stragi. Certo, Salvatore Baiardo aveva quelle credenziali che i magistrati evidentemente consideravano più rilevanti rispetto alle sue condanne per favoreggiamento dei fratelli Graviano e di altre calunnie. Perché, con il suo sorriso furbino, aveva “azzeccato” l’imminente arresto di Matteo Messina Denaro. Anzi, aveva insinuato, magari sarà lui stesso, malato, a consegnarsi. Poi, ad arresto avvenuto e in seguito anche la morte, i mafiologi in servizio permanente avevano dovuto scoprire che la famosa latitanza d’oro del “capo di Cosa Nostra” era coperta solo da parenti, fidanzate e amici d’infanzia. Non c’era nessun grande vecchio a proteggerlo, nessun paperone come Berlusconi ad aiutarlo. Non resta che aspettare le clamorose chiamate in correità, dopo ventisei anni, di Francesco Schiavone, il Sandokan reuccio dei casalesi di recente “pentito”. E vedere se anche la camorra, così come ipotizzato per la criminalità organizzata calabrese nel processo “’ndrangheta stragista”, abbia stretto un patto inconfessabile con Cosa Nostra sulle stragi. Per individuarne i “mandanti”, ovviamente.

Ma per ora l’inchiesta di Firenze è nelle mani di Salvatore Baiardo l’inattendibile. E della foto. L’unica cosa certa, secondo il tribunale, è che il gelataio l’abbia mostrata a Massimo Giletti. Ma abbia mostrato che cosa con esattezza? “…potrebbe essere un fotomontaggio -scrivono i giudici- o addirittura esser stata male osservata dal giornalista, per problemi di luce (l’ambiente in cui venne mostrata non era ben illuminato), o essersi egli sbagliato in ragione del breve tempo in cui gli venne mostrata, magari ingannato da tratti somatici simili a quelli delle persone che ha dichiarato di avere riconosciuto”. Cioè, a dire di Giletti, un Berlusconi più giovane, e forse il generale Delfino. Il che non serve a niente, se non si prova che insieme a loro c’era anche il boss mafioso. Ma questo è bastato per far inserire, da parte della procura di Firenze, le deposizioni di Baiardo e Giletti sulla foto, nel fascicolo 16249 aperto dai procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli sule stragi. Quest’ultimo nel frattempo è stato promosso ed è andato a dirigere l’ufficio di Prato.

Questa volta il fascicolo, aperto quando lui era giovane, non lo seguirà. E chissà se lui considererà fallita la sua missione, quella di capire “perché la mafia nel ’94 rinunciò alla strategia stragista”. Perché il teorema è sempre lo stesso, quello che vede la mafia invincibile e lo Stato sempre colluso. Non bastano più le sentenze, valgono solo i complottismi giudiziari. Così, per far quadrare il cerchio, le bombe del 1993 vengono trascinate fino a quella inesplosa all’Olimpico e quella che ha ucciso due carabinieri in Calabria, perché sono del gennaio del 1994. Per la precisione a pochi giorni dal famoso messaggio di Berlusconi “L’Italia è il Paese che amo” con cui aveva annunciato la candidatura che lo porterà alla vittoria del 28 marzo. Dopo di che le bombe non servivano più, l’obiettivo era stato raggiunto. E così in avanti, fino a Baiardo.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.