Il decreto sulla presunzione di non colpevolezza sbarca alla Camera, se ne discute con magistrati e avvocati, e intanto fanno addirittura risate, quelli della banda travagliotti, sugli imputati innocenti. Perché per loro non esistono. E se esistono, loro fanno i “quindici uomini sulla cassa del morto e una bottiglia di rhum”. Sai che divertimento. Non perdono occasione. Scoppiasse la terza guerra mondiale, loro sarebbero ancora lì a fare le pulci al processo “Trattativa” anche quando una sentenza ha dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che quella roba lì che fu appellata in quel modo, cioè un criminale patto tra la mafia e servitori dello Stato, non è mai esistita. Cape toste e ignoranti di diritto. Questa volta schierati a difendere con le unghie e con i denti non solo la “presunzione di colpevolezza”, ma anche la parte più oscura, più viscida, dell’attività dei giornalisti, il diritto a mettere gli altri alla gogna. E anche i momenti in cui la professione si fa Casta. E guai a toccarla, se no è subito “bavaglio”.

Sono cominciate alla Commissione giustizia della Camera le audizioni di magistrati, avvocati e giornalisti per un’opinione sul decreto legislativo con cui il governo ha recepito, con cinque anni di ritardo, la direttiva Ue 343 del 2006 sulla presunzione di innocenza. Ordinaria amministrazione, dal momento che lo stesso parere delle commissioni di Camera e Senato non sarà vincolante per il Consiglio dei ministri, che dovrà approvare il testo definitivo entro l’8 novembre. Semplice routine, dunque, tanto che i rappresentanti dell’Ordine e del sindacato dei giornalisti non si sono neanche presentati, ma tutto fa brodo, per la banda travagliotti. Che esibisce una prima pagina con il solito trionfo della misoginia contro la ministra Cartabia, con corredo di editoriale del direttore e due servizi all’interno. Il problema, ovvio, non sono le opinioni delle persone che sono state interpellate, o il dito nell’occhio alle associazioni dei giornalisti colpevoli di non esser salite subito sulle barricate. Il punto è che non si può, non si deve, mai e per nessun motivo, pronunciare la parola “innocente”.

Del resto, non glielo ha insegnato il loro maestro, che esistono solo colpevoli che l’hanno fatta franca? Vuoi mettere il suono rotondo, pieno, della parola “colpevole”? Se poi a questo termine di può associare “gogna”, sai che bei servizi giornalistici possiamo fare? Quante prime pagine possiamo riempire? Intere generazioni di cronisti giudiziari ne sanno qualche cosa, hanno campato su questo. E intere generazioni di vittime – politici, ma non solo – hanno ancora le piaghe sulla pelle. Innocenti e colpevoli. In Europa, e in tutti i Paesi di civiltà giuridica ereditata dal diritto processuale penale romano, la presunzione di non colpevolezza ha radici e applicazione ben precise. In Italia è tutelata dalla Costituzione e calpestata ogni giorno da quello che da tempo chiamiamo il circo mediatico-giudiziario, risultato di una quotidiana Trattativa tra giornalista e pubblico ministero. Un vero voto di scambio: il pm ti dà la notizia “riservata”, magari l’esclusiva, lo scoop, e tu scrivi bello grosso il suo nome, gli fai pubblicità, soddisfi la sua vanità, lo aiuti a far carriera, magari anche in politica. Gli esempi famosi non mancano.

Inutile illudersi che con il decreto e l’allineamento ai principi europei si arrivi alla separazione di carriere tra procuratori e giornalisti, che si rompa il vincolo mafioso del voto di scambio, ma nella bozza del testo (nato da un emendamento del deputato Enrico Costa) del governo c’è già qualche piccola rivoluzione copernicana. Perché si dà corpo e vita quotidiana proprio all’articolo 27 della Costituzione: nessun indagato o imputato potrà mai esser presentato all’opinione pubblica come colpevole di un delitto fino a che la sua responsabilità non sia accertata e sancita da una sentenza passata in giudicato. Da morir dal ridere, vero? La dignità della persona, i suoi diritti costituzionali vengono irrisi da chi rivendica il proprio diritto a mettere alla gogna gli altri, salvo perdere la testa quando, come capitò anni fa in una certa trasmissione a Marco Travaglio, qualcuno ti pizzica su un viaggetto o un’ospitalità inopportuna.

Allora la crisi di nervi serve a tacitare l’interlocutore perché tremi per la paura che una piccola gogna possa toccare un giorno anche a te. A te che non ti sei mai scandalizzato per quel povero muratore, Massimo Bossetti, infilzato dai filmati dei carabinieri sia al momento dell’arresto (con quel “prendilo, prendilo” che sembrava la caccia alla volpe) che nell’imbroglio del finto girotondo del suo furgone. A te che, pur se eri giovane, hai sicuramente apprezzato quei quattro giovanotti con la barba lunga – forse ti dicono qualcosa i nomi di Di Pietro Colombo Davigo e Greco– che aizzavano a reti unificate i cittadini a insorgere perché senza manette loro non potevano lavorare. Siete nervosi, voi della banda travagliotti, perché ciò non sarà più possibile, dopo l’approvazione definitiva del decreto Cartabia. Un’altra piccola rivoluzione copernicana affida al procuratore capo la responsabilità di custodire le notizie e di parlare con il contagocce all’opinione pubblica tramite la stampa per riferire di indagini in corso. Infatti lo potrà fare “esclusivamente tramite comunicati ufficiali, oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa”.

Si aspetta che ci potrebbe essere battaglia in Parlamento su quell’avverbio “esclusivamente” che taglia le code vocali ai procuratori alla Gratteri, quelli che degli incontri con i cronisti hanno fatto abitudine quotidiana. Salvo dimenticarsene quando accadono “incidenti” come quello dei giorni scorsi con l’assoluzione (perché il fatto non sussiste) dell’avvocato Giuseppe Pitaro, ex sindaco di Torre Ruggiero, che la Dda voleva condannare a sei anni di carcere, coinvolto nell’operazione Orthrus”. A proposito della quale dobbiamo aggiungere la terza piccola rivoluzione copernicana: basta con nomi e nomignoli con cui vengono intestate le inchieste giudiziarie. Possibilmente si torni al tradizionale e asettico fascicolo intitolato “Abate più 15”, dal nome del primo indagato in ordine alfabetico. E’ in gioco la dignità delle persone, quella su cui Travaglio ride, immaginando che le retate di narcotrafficanti (presunti, caro Marchino, presunti) si debbano chiamare “Tutti brava gente”. No, non hai proprio capito, non si devono proprio chiamare in nessun modo. Sta per finire, speriamo, il tempo delle esibizioni, dei fari accesi sulle vanità di pubblici ministeri, forze dell’ordine e giornalisti, sul voto di scambio mediatico-giudiziario che pratica la caccia alla volpe. Magari è arrivato qualcuno che sta dalla parte della volpe. Una volta tanto.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.