Elezioni amministrative? Senz’altro. Eppure, è come minimo dubbio che la via maestra per Napoli sia quella di cestinare la politica come pensiero. Ciò di cui necessita Napoli – in primis eguaglianza sociale e territoriale – non viene dal nulla, ma nasce dai suoi bisogni: con i suoi cittadini, essa deve innanzitutto riconoscersi in se stessa, arrivare a un’autocoscienza che divenga sicurezza nello stare al mondo, e questo è compito politico. Inutile girarci intorno: Napoli è tra le poche città universo d’Europa ma a questo spazio simbolico bisogna affiancare una forma concreta.

È arrivato il tempo nel quale la diversità di Napoli dialoghi con le sfide di un presente nebuloso. Dapprima, uscire dall’isolamento in cui è finita, decimata da un presunto autonomismo e da un dialogo istituzionale inesistente. A Napoli urge una coscienza nuova del suo spazio: cos’è Partenope senza il Mediterraneo, nell’ambito di un sistema mondo a dir poco in transizione, di flussi interrotti e geopolitica che la vedono suo malgrado protagonista? Napoli non può essere solo connessione sentimentale: deve farsi legame ben più concreto tra le parti della sua città. Non c’è vita, a Napoli, senza le sue periferie, senza il suo essere centro di gravità di una provincia dalla densità quasi senza pari: la libertà di movimento non può essere solamente quella delle merci e dalla possibilità (anche psicologica) di muoversi serenamente passa l’essere cittadini in senso ampio. Solo una città che si faccia modello di un nuovo modo di intendere il municipalismo può offrire la sua parte di risposta alle domande imposte dalla situazione globale.

Un’elezione “amministrativa” non può essere una bega di condominio o di paese, ma deve farsi progetto ampio, in primis rinunciando ai toni esasperati e spesso francamente irricevibili – magari non guasterebbe un po’ di attenzione alle parole colpose (?) scagliate come dardi. Diciamolo chiaramente: le candidature saranno pure civiche, ma non si può né deve escludere la prospettiva politica dal ragionamento. D’altronde, le sfide non mancano: cosa ne sarà del centro storico gentrificato, cosa delle periferie massacrate, quanto la crisi pandemica impatterà sul tessuto di un’economia basata spesso su un terziario a scarso valore aggiunto, cosa si propone riguardo Bagnoli, cosa ne è del mare assente e del verde fantasma, cosa dei giovani e dell’impatto del south working, cosa dei trasporti, cosa del debito (a Roma ci sentono?), cosa, in definitiva, della sofferenza dei cittadini?

E ancora, Napoli è in grado di svolgere il compito di capitale del Sud Italia, ponendosi alla testa di un movimento politico e di opinione che tenga d’occhio la ripartizione dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che raddrizzi le storture delle spese storiche? È in grado di connettersi con altre realtà simili per affermare che nella dimensione comunale vi sono gradi di libertà impossibili da replicare altrove? Non si tratta di sventolare bandiere, ma di rendersi conto che, nelle diseguaglianze, una città come Napoli ci vive e forse muore. Prossimità “ben amministrata” e pensiero d’ampio respiro, questo deve essere Napoli. Elezioni amministrative, allora, ma ci si ricordi che l’amministrare è solo una “parte” della politica, cui affiancare l’ispirare, il prendersi cura, il decidere. E sennò, accordandoci al destino di un’epoca, si dica che esiste solo un governare tramite la tecnica e che il giorno delle elezioni è rappresentazione figurativa per allocchi – e non pensiamoci più.