La campagna elettorale per le amministrative a Napoli sta prendendo una brutta piega. Sono mesi che si discute dei candidati, della loro appartenenza o meno ai partiti, se siano calati dall’alto o se siano espressione del territorio. A destra come a sinistra appaiono evidenti lacerazioni interne che, pur volendo considerare per certi aspetti legittime, non possono essere giustificate. Unico elemento positivo resta il fatto che Napoli esprime, in questo particolare momento storico, tutti candidati autorevoli. E trovo profondamente ingiusto provare a scoraggiarli. Siamo in un momento di profondissima crisi, che viene da lontano, aggravata da questa maledetta pandemia che ha messo in ginocchio le più grandi economie. Figuriamoci una economia più debole come la nostra.

Per farcela non serve un sindaco, non serve una squadra di consiglieri comunali, non serve questo o quel partito: è necessario mobilitare intelligenze, persone in carne e ossa che abbiano voglia di mettersi in discussione e partecipare, perché c’è talmente tanto da fare che forse siamo pochi e anche un po’ stremati. Dobbiamo abituarci tutti, nessuno escluso, a parlare un linguaggio nuovo, quello della semplicità e della concretezza. Il quadro esigenziale della città di Napoli è talmente ampio che chiunque di noi provi a farne un elenco troverà il consenso di altri che lo ascoltano. Siamo chiamati a mettere in fila i problemi, scegliere insieme delle priorità e trovare soluzioni in un tempo coerente con la nostra vita. Perché fino a oggi ci hanno fatto credere che il tempo è una variabile astratta. Non è così.

Negli ultimi 40 anni, a Napoli, si è parlato tanto di progettualità. Avremmo avuto il tempo di realizzarli, quei progetti, e anche di demolirli e poi di ripensarli e di rifarli. Questo modo di interpretare la politica ha stremato intere generazioni che, quando non sono emigrate, sono invecchiate nell’incertezza e nella precarietà. Sono queste le ragioni per cui trovo inaccettabile continuare a dibattere solo sui candidati e sulla loro collocazione politica e non di quali priorità affrontare per restituire a Napoli una propria condizione “ordinaria”. La città ha già dato in termini di antipolitica e il suo isolamento è figlio di questo atteggiamento. Un costo elevatissimo per i napoletani nel contesto europeo e internazionale. Dunque dobbiamo disinnescare certe spinte, anche perché le buone idee non sono collocate solo da una parte politica o dall’altra. Abbiamo solo il dovere di condividerle e realizzarle.

Catello Maresca è chiamato a fare questo: chiedere ai partiti del centrodestra di condividere, per esempio, il suo Piano straordinario della manutenzione, un piano dal valore di circa due miliardi di euro in grado di generare 34mila posti di lavoro a Napoli se – come sostiene l’Ance – per ogni miliardo speso in edilizia si creano 17mila posti di lavoro. Non solo, per i prossimi sette anni l’Europa ha messo in campo oltre 1.800 miliardi di euro: più di un miliardo nella programmazione ordinaria e 750 miliardi nella programmazione straordinaria, quella della Next Generation Eu. Di questi, 390 miliardi sono a fondo perduto mentre gli altri sono erogati a tassi di interessi molto agevolati e mai visti prima. All’Italia toccano 210 miliardi, di cui il 40% al Sud.

Il presidente della Campania Vincenzo De Luca ha presentato un piano di 17 miliardi. La nostra area metropolitana è più della metà dell’intera regione e Napoli è un terzo di quella stessa area metropolitana. Tradotto in soldoni, ci troviamo di fronte a finanziamenti che sfioreranno i tre miliardi di euro in pochissimi anni. È la nostra grande occasione: investimenti per strade, scuole, abitazioni e riqualificazione ambientale. Se vogliamo dare un senso a tutto questo, però, dobbiamo abbandonare le logiche che fino a oggi ci hanno accompagnato. Maresca e i partiti del centrodestra si concentrino su questo: i napoletani hanno bisogno di sapere che siamo di fronte a una svolta. E che non ci sarà nessun salvatore della patria o nessun uomo solo al comando: tutti dobbiamo sporcarci le mani, metterci in gioco e, soprattutto, crederci.

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Classe 1969, napoletana, già segretario generale della Cisl Campania.