Dei personaggi pubblici si sanno le cose più inutili mentre se ne tralasciano altre spesso più significative per il ruolo che ricoprono. Dopo aver scandagliato le sue relazioni amorose, l’abbigliamento e il parrucchiere si è perfino parlato del naso di Elly Schlein tralasciando di ricordare che è anche nipote di un grande avvocato penalista e Senatore della Repubblica: Agostino Viviani.

Nella diatriba natura vs cultura qui si tifa per la seconda e, proprio come Schlein, si è a favore dello ius soli, oltre che di quello culturae, ma se è vero che il Dna non tramanda tratti politici, la famigliarità con esempi di rispetto della legalità costituzionale potrebbe in effetti “do the trick” – come si dice in una delle lingue della cosmopolita neo segretaria del Partito Democratico. Agostino Viviani, nonno materno di Schlein, è stato un tribuno della plebe del XX secolo che da legislatore fece tesoro di queste sue esperienze in Senato in anni in cui la politica non aveva paura della propria ombra e non era alla spasmodica ricerca di consenso anteponendolo ai principi costituzionali. Antifascista azionista e membro del Cnl, prima ancora che legislatore socialista, visti i temi affrontati pienamente liberale e quindi radicale, Viviani è stato un “principe del foro” anche se più abile che noto.

Dopo aver difeso mezzadri e “popolino”, negli anni Settanta e Ottanta ha assistito esponenti delle Brigate rosse, Proletari armati per il comunismo, Prima linea e Comunisti organizzati per la liberazione proletaria. In una della sue interviste di fine carriera confessò che “nell’assistere ad abusi nelle aule dove si cerca giustizia, credevo di dover morire a causa del fegato ingrossato e dei dispiaceri nel veder quanta ingiustizia ci sia nel nostro paese […]. E invece sono ancora vivo e vegeto e mi sto lentamente convincendo che pur sicuro di perdere la nostra battaglia [per una giustizia giusta, ndr], essa può rappresentare una spinta, una speranza per incidere una traccia nel futuro, per i nostri figli, per i nostri nipoti”. Si diceva i nipoti, anzi la nipote.

Secondo la vulgata patriarcale le colpe dei padri non ricadono sui figli – stesso dicasi dei meriti, ciò non toglie che, avendoci Viviani lasciato nel 2009 – quando Elly aveva 24 anni – discutere con un nonno di tal fatta con cui si condividevano interessi e impegni civici e politici, tra un una fetta di buristo e un ricciarello, magari alla vigilia di un Palio dove correva la Pantera, potrebbe aver consolidato consapevolezze e convinzioni saldamente ancorate ai valori di giustizia e libertà. Se la mozione Schlein è generalista su praticamente tutto, e conoscendo dov’è stata scritta e chi la sosteneva se ne può capire il perché, il vissuto e gli insegnamenti famigliari fatti di esempi pubblici non possono non far parte del vissuto di Schlein e della sua educazione politica.

Nel 1972, amico di una vita di Lelio Basso, Viviani fu eletto senatore nelle liste del Partito Socialista Italiano. In quanto esperto in materia, fu presidente della Commissione Giustizia e designato dal ministro di Grazia e Giustizia a far parte della Commissione consultiva per la riforma del codice di procedura penale. Nel bel mezzo degli “anni di piombo”, la 2a Commissione del Senato contribuì a elaborare, approvandole, fondamentali riforme strutturali come quella del diritto di famiglia del 1975 che, secondo Viviani, aveva come obiettivo principale il riconoscimento “della perfetta parità dei coniugi, riconoscimento della funzione e della posizione che la donna ha saputo guadagnarsi nella società e nella famiglia, riconoscimento della priorità dell’interesse dei figli siano essi nati nel matrimonio o fuori da esso”.

Non è un caso se il Viviani parlamentare frequentò da subito il Partito Radicale – prima formazione di “sinistra liberale” a eleggere nel 1976 una donna segretaria: Adelaide Aglietta. Una vicinanza che lo portò a diventare presidente del Consiglio Federativo del Partito negli anni ‘80. Altra importante legge fortemente voluta da Viviani fu la riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975 con norme che introducevano nel sistema italiano una regolamentazione all’avanguardia per i suoi tempi. In quello stesso anno Viviani partecipò all’elaborazione della legge sulla disciplina degli stupefacenti la cui riforma fu letteralmente istigata da una disobbedienza civile di Marco Pannella che venne arrestato dopo aver fumato uno “spinello” in una conferenza stampa nella sede del Partito Radicale.

Nella successiva legislatura, quando quattro radicali entrarono per la prima volta alla Camera, Viviani tornò in Senato dove fu confermato all’unanimità presidente della Commissione Giustizia. Ed è nelle settimane del rapimento e omicidio di Aldo Moro che sotto la guida di Viviani il Parlamento approva “Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza”. Sempre nell’estate del 1978 verranno adottate anche la legge che abolirà i manicomi e la definitiva strutturazione del Sistema Sanitario Nazionale. In anni in cui in Italia si sequestravano, gambizzavano o assassinavano politici e magistrati la politica non si faceva intimidire. Viviani era anche un grande oratore, piacevole da ascoltare per il suo, non, accento senese che rendeva il suo eloquio pressoché perfetto -, l’archivio di Radio Radicale è ricco di suoi interventi, un gran parlare che non era mai fine a se stesso, arricchiva solidi argomenti giuridici a sostegno di riforme strutturali per l’affermazione dello Stato di Diritto in un Paese dove ancora vigeva un codice penale adottato negli anni ‘30.

Verso la fine della VII Legislatura Viviani fu firmatario unico di un disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati frutto anche della pratica forense che lo aveva visto spesso confrontarsi aspramente con l’incontrollata, e per sua stessa ammissione spesso illegale, funzione giurisdizionale. Mal gliene incolse. Quella proposta segnò la fine della sua carriera parlamentare, infatti, per via degli attacchi dell’Associazione Nazionale Magistrati, il neoeletto segretario del Psi Bettino Craxi decise di non ricandidarlo alle politiche del 1979. Di lì a due anni Viviani si dimise dal Psi e tornò a fare l’avvocato difensore. Nel 1987 Viviani si prese una rivincita nei confronti dei suoi “avversari” facendo parte del comitato promotore del vittorioso referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, una riforma che Giuliano Vassalli, suo ex-collega di partito e finissimo giurista, di lì a poco annullò.

Nel 1990 Vassalli avrebbe inoltre pensato la peggiore legge in materia di stupefacenti stravolgendo quel poco di buon senso che Viviani era riuscito a includere nella normativa sulle droghe di 15 anni prima. Dal 1994 al 1998 fu membro laico del Csm grazie a quell’esperimento liberale che fu la prima Forza Italia che, tra gli altri, aveva fatto eleggere alla Camera l’avvocato di Enzo Tortora Raffaele della Valle. Nel ricordarne la figura nell’anno della sua morte, il giurista Giuseppe Di Federico, anch’egli al Csm dal 2002 al 2006 ricordò che Viviani “per riequilibrare i rapporti tra accusa e difesa riteneva fosse necessaria una riforma che dividesse il corpo dei giudici da quello dei Pm. Gli fu obiettato, tesi ricorrente, che in tal caso diminuirebbero le garanzie processuali per il cittadino in quanto un Pm distaccato dal giudice perderebbe la cultura della giurisdizione”.

Sono anni che non si trova traccia di quella “cultura della giurisdizione” – anche nel Csm – come sono decenni che non si trova traccia di una politica che da sinistra ne denunci l’assenza. Fermo restando che i meriti dei nonni eccetera, nel momento in cui si paventa la trasformazione del Pd in un “partito radicale di massa” sarebbe auspicabile potersi confrontare con l’eccezione che conferma la regola della non ereditarietà genetica e finalmente porre al centro della politica italiana il rispetto dello Stato di Diritto, il cuore della politica radicale.