Da dove deve ripartire il Pd di Elly Schlein? Non da zero, ovviamente. Almeno da tre cose, come diceva Troisi. Vediamo quali. Oggi ne suggerisco una: le “giunte rosse”. Per “giunte rosse” si intendono quelle giunte di sinistra, egemonizzate dall’allora Pci, che governarono da fine anni ‘70 a primi anni ‘90. Una cultura da cui la stessa Elly Schlein proviene, e nella quale le donne per la prima volta nel nostro paese assunsero incarichi elettivi.

È un modo anche per rispondere a quanti, sulla scia di una “premonizione” del filosofo cattolico conservatore Augusto Del Noce, paventano che il Pd si sia trasformato in Partito Radicale di massa, attento solo ai diritti civili e alle minoranze, dimentico dei diritti sociali e del mondo del lavoro; e in particolare appiattito sui consumi individuali dopo aver rinunciato a qualsiasi tensione utopica e messianica, che pure al marxismo appartiene. Credo invece che un partito di sinistra riformista dovrà cercare di tenere insieme efficienza e uguaglianza, giustizia e libertà, buona amministrazione e anche un minimo di tensione “palingenetica”, invece assente in Calenda (intendo l’idea che non si può mercantilizzare qualsiasi cosa dell’esistenza, che non siamo costretti ad essere produttivi e performativi ad ogni istante, che si dovrà lavorare tutti meno, come auspicato da Keynes, per poterci occupare dei nostri cari e di tutto quanto amiamo).

È uscito un libretto utilissimo, Giunte rosse. Interviste sul buon governo, a cura di Andrea Ambrogetti (Gambini) -, con interviste fatte nel 2021 ai protagonisti di quella esperienza, nell’Italia centrale, che ha coinvolto comuni, province e regioni: nel 1975 – dunque prima delle leggi sull’autonomia e della elezione diretta dei sindaci – 5 regioni amministrate dalle sinistre, 32 province con maggioranze di sinistra, 37 capoluoghi di regione o provincia amministrati dalle sinistre, 1250 sindaci comunisti. In fondo è il nostro “socialismo reale”, la via italiana al Welfare State (che in altre regioni è andata più verso il solidarismo cattolico), e scusate se è poco. Assai più attraente del “socialismo reale” propriamente detto. Una esperienza fatta di Welfare, infrastrutture (asili nido, scuole materne, consultori, depuratori, ospedali nuovi, servizi sociali), sviluppo economico, elevata gestione della cosa pubblica.

Il Pci benché non avesse mai governato a livello centrale dimostrò allora di avere una classe dirigente solidissima, frutto di processi di selezione e investimenti formativi, dalle Frattocchie al sindacato. Dove ha governato è stato un grande partito riformista Anche perciò tempo fa ho scritto una lettera aperta a Elly Schlein che in Tv da Lilli Gruber si era liberata troppo sbrigativamente di una giusta domanda sul suo rapporto col comunismo. Cosa ne è allora della questione della “doppiezza”? Davvero in quegli anni Pci aveva rinunciato per sempre alla “rivoluzione comunista” e al superamento del capitalismo e della democrazia borghese? Ambrogetti non intende negare in assoluto la doppiezza, però sottolinea giustamente il farsi carico da parte del Pci “dell’attuazione sostanziale della Costituzione repubblicana”.

Cedo la parola a Italo Calvino che nelle Lezioni americane volle parlare di “schizofrenia” e “dissociazione” dei comunisti italiani, prima del disgelo (e prima che Berlinguer diede al partito una identità compiutamente democratica): da una parte “testimoni della verità, vendicatori dei torti subiti dai deboli e dagli oppressi”, dall’altra pronti a giustificare Stalin! Quando Calvino andava nei paesi dell’Est confessa di sentirsi sempre a disagio, estraneo, poi quando il treno lo riportava in Italia si domanda sempre: “Ma qui, in Italia, in questa Italia, che cosa potrei essere se non comunista!”. Certo fa sorridere leggere che un tipico viaggio premio per un funzionario di partito che aveva portato gli iscritti da 60 a 360 ( a Orvieto) era un viaggio in Polonia. Roba da Peppone e don Camillo!

Segnalo qui e là, dalle interviste. Ad Amelia punto di forza è stato il rapporto con il tessuto associativo, visto come risorsa per far crescere la comunità in termini di partecipazione e auto-organizzazione (oggi quel progetto sopravvive nella “Rete Prendiamoci per mano”). A Bologna il recupero del centro storico si tradusse in una grande campagna di marketing urbano per lanciare la politica del restauro del centro stesso, contro la rendita e la incombente deregulation. Ad Ancona la progettazione e creazione della grande piazza della città mobilitò i migliori architetti. A Imola la celebrazione di 50 anni di scuole dell’infanzia mise insieme interessi diversi: i diritti dei bambini di crescere e delle mamme di disporre di spazi sicuri ed educativi.

A Orvieto la costituzione di un nuovo certo medio formato da piccoli imprenditori e artigiani (barbieri, sarti, ciabattini) accompagnò un esperimento pionieristico di “città cablata”: proprio l’ex sindaco di Orvieto dichiara che “i comunisti italiani non sono mai stati pauperisti, a noi piaceva lo sviluppo, la tecnologia e l’America!” Ad Arezzo una discussione appassionata sul caso di una donna violentata (i violentatori difesi da un avvocato comunista), confrontò una cultura contadina e patriarcale con i temi della sessualità e della autodeterminazione. A Perugia ascensori e scale mobili vennero installate per portare le persone in centro allontanandone le auto. Ma va ricordata, in tempi di rinascente squadrismo, anche ad Urbania la lotta per impedire la creazione, fuori tempo massimo, di una “sede del fascio”!

Dunque: il riformismo municipale (tra piazze, biblioteche e parchi) – che si riallaccia a quello turatiano – ma anche l’avvio di una trasformazione socialista del nostro paese, il legame con movimenti e associazioni e insieme il tentativo di modernizzare la società. Cittadini protetti e cittadini protagonisti. Il Pci nella seconda metà degli anni ‘70 si mostrò capace di interpretare i bisogni degli sfruttati ed oppressi e al tempo stesso i bisogni dei cittadini-utenti-consumatori. È vero che tutto questo non è riuscito a reggere all’ondata populista e sovranista, ma per innumerevoli ragioni. Resta un buon punto di partenza per l’oggi.