La polemica
Guerra e TV, il cinismo della realpolitik

Infine, sulla terra e il destino d’Ucraina, accanto alle artiglierie degli invasori russi, giunse un’arma non meno dirompente, affidata quest’ultima alle parole, ai discorsi, forse perfino al chiacchiericcio ordinario, buttato lì come nulla fosse: l’argomento assoluto e inappellabile della cosiddetta realpolitik. Il cinismo, sovente interessato, di chi fin dall’inizio ha ritenuto che gli ucraini dovessero arrendersi, così per forza di cose, così poiché la loro lotta, di più, la loro resistenza era del tutto velleitaria, estranea perfino alla rispettabilità stessa di questo termine riferito alla dignità e alla sopravvivenza.
Sia per ragioni evidenti di sproporzione legate agli armamenti, ai rispettivi arsenali, sia perché addirittura la fatica e il coraggio dei suoi combattenti, compresa la popolazione civile, non andavano affatto ritenuti frutto di una “resistenza”, semmai di una guerra tra nazioni, dunque di bieco nazionalismo, e in quanto a questo la Russia di Putin, a dispetto della sua condotta criminale, restava comunque una rispettabile super potenza, insomma, assai meglio non svegliare dal suo letargo millenario l’orso russo. Cinismo e pavidità, e ogni etica possibile da ritenere un surplus, un ingombro non necessario, perfino a dispetto e all’evidenza dei massacri, dei morti civili innocenti. Tutto ciò perfino pronunciato con sicumera filosofica.
E ancora chi, dalla comoda tribuna dei talk, persona già nota per avere collaborato con “Russia Today”, prova addirittura a spiegare che proprio l’etica nella vicenda ucraina dovrebbe essere messa tra parentesi, al contrario facendo semmai caso all’inutilità delle sanzioni, così “perché le sanzioni danneggiano innanzitutto noi, la nostra economia”, argomento inaffondabile della destra bottegaia e sovranista in un Paese, l’Italia, che più di ogni altro si è distinto nel pubblico sostegno all’infamia russa di Putin. L’avanzare progressivo e inesorabile delle realpolitik, appunto. Come arma di dissuasione civile ed etica. Magari accompagnata dall’immagine di chi come Salvini, a dispetto perfino di se stesso mesi prima, ospite indesiderato in una cittadina al confine polacco davanti al sindaco locale, prova ora a inventarsi “messaggero di pace”, mediatore, immaginando una propria nuova gita a Mosca.
Realpolitik e ancora cinismo nella retromarcia del cantante amato dalle platee già sovietiche che dapprima si dissocia dall’amico Putin, addirittura ospitando alcuni profughi ucraini nella propria masseria, salvo poi, ospite del “Maurizio Costanzo Show” rimangiarsi tutto. Segno che proprio l’arma della realpolitik sta lavorando meglio degli obici e dei “katiuscia”. E ancora, nella medesima foto di gruppo, molti altri, mobilitati sul campo sempre in nome del realismo, pronti a dire fin dal primo momento che l’Ucraina non potrà mai vincere la “sua” guerra, parole che implicitamente nascondono la convinzione dei satrapi di Mosca, gli stessi secondo i quali l’Ucraina non può dirsi nazione, ma va ritenuta piuttosto nella sua interezza, dunque non meno del Donbass e della Crimea, parte non scorporabile della Grande Madre Russia infine putiniana.
Le parole di Pier Paolo Pasolini riferite un tempo proprio al ricatto della realtà, allo stato delle cose, supportate dal sinonimo caro al cinismo politico – la realpolitik, appunto – anche questa volta suonano esemplari, e si stendono come un sudario sui morti che non avranno giustizia. Realpolitik contrabbandata come forma di intelligenza politica superiore pronta a cancellare ogni possibile eventuale processo sui crimini di guerra che dovrebbe vedere la Russia portata alla sbarra quando i serventi al pezzo delle artiglierie torneranno alle loro case.
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