La strategia dell’abbraccio tra Pd e M5s inizia a dare i suoi frutti. Sarà anche vero, come ricordano Rosato e Renzi ogni giorno, che i due partiti-chiave del governo sono sovrapposti e quasi fusi, ma è una dinamica che premia, come nella legge della fisica, il più pesante tra i due vasi comunicanti. Daniel Fishman, lo spin doctor di Consenso che ha seguito molto da vicino la campagna dell’Emilia Romagna, rivela al Riformista il dietro le quinte della war room: «Abbiamo fatto un esame combinato di tre fattori: temi, territori e target; analisi incrociate attraverso ricerche tradizionali e social. Questo ci ha permesso di individuare 88 comuni, su oltre 320, che erano quelli decisivi sui quali bisognava far breccia».

Proprio come nella campagna presidenziale americana, gli “Swing State” riescono a far cambiare segno. «Poi abbiamo deciso – prosegue Fishman – come e quando ottimizzare la presenza del Presidente, con un’agenda strategica che teneva conto delle azioni combinate, online e offline, per coprire i target che ci interessavano. Abbiamo fatto azioni mirate sui giovani e sulla montagna. E una azione di mobilitazione dei militanti, che hanno ricevuto una chiamata alle armi organizzata. Nell’ultima settimana abbiamo molto lavorato sul voto disgiunto. Cosa che ha fatto vincere oltre ogni previsione la coalizione, passata nel voto di lista delle europee da -7 al +3%». «Sottolineo – dice Marco Caciotto, spin doctor che insegna marketing politico a Torino – l’effetto di ritorno di un elettorato che ha sentito il nemico alle porte, e di fronte alla sfrontatezza di Salvini si è turato il naso. Bonaccini ha fatto una bella campagna, ma a dargli una mano è stato Salvini che ha sbagliato i toni e alzato troppo il livello dello scontro, creando lui stesso una onda di reazione».

È innegabile che nel successo di Stefano Bonaccini alle elezioni in Emilia Romagna ha giocato “un ruolo determinante” il voto in suo favore di molti elettori che alle Europee 2019 avevano scelto M5s. Emerge da una analisi dell’Istituto Cattaneo, riguardante quattro città (Forlì, Ferrara, Parma, Ravenna) che nel recente passato hanno espresso orientamenti più favorevoli al centrodestra. «Tutti i sondaggi pre-elettorali confermavano un distacco ridotto tra le due coalizioni – si legge nello studio – con una eguale possibilità di vittoria per Bonaccini e Borgonzoni. In realtà, l’esito del voto ha non solo confermato la posizione del presidente regionale uscente, ma ha mostrato anche un distacco più netto (superiore ai 7 punti percentuali) a favore dello schieramento di centrosinistra». Questo risultato è «ancor più sorprendente perché, nelle scorse elezioni europee, il centrodestra aveva raccolto nel suo insieme il 44,3% dei voti, superando il centrosinistra di 7 punti percentuali». Da dove deriva dunque il successo per Bonaccini e per il centrosinistra?

«Molti elettori pentastellati (il 71,5% a Forlì, il 62,7% a Parma, il 48,1% a Ferrara) – si legge nello studio – hanno scelto la candidatura di Bonaccini e solo una minoranza ha deciso di optare per il candidato del M5s (Simone Benini) o per il centrodestra di Borgonzoni. Il centrodestra si lecca le ferite in Emilia ma festeggia la Calabria. Il trionfo di Jole Santelli (55,4%) su Pippo Callipo (30,1%) fa ben sperare il centrodestra per le prossime regionali al Sud (Campania e Puglia), ma offre a Fi il destro per rivendicare il primato moderato, e a Giorgia Meloni per reclamare maggiore voce in capitolo perché «Fdi è il vero vincitore di queste elezioni – avverte – siamo l’unico partito che cresce».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.