Il governo Draghi ha giurato nelle mani del Capo dello Stato il 13 febbraio 2021, entrando così formalmente in carica; ha ottenuto la fiducia anche alla Camera dei deputati il 18 febbraio: ha dunque superato il primo semestre di attività. La maggioranza è amplissima e non appare sostituibile, né la decorrenza del semestre bianco, durante il quale il Presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere, sembra poter mettere in crisi di qui alla fine del 2021 il Governo, che non appare sostituibile, né in toto, né in parte. Se ne avrebbero sentori, si coglierebbero umori, si sentirebbero crepitii o piccole fessure, di cui non v’è la minima contezza. Chi minaccia, lo fa solo per uso e consumo interno, ovvero alla caccia di qualche decimale da sventolare ai propri militanti nell’ultimo sondaggio.

Il governo può andare per qualche giorno in vacanza, mettendosi alle spalle un ruolino di marcia finora più che positivo. Negli ultimi quaranta giorni ha ottenuto l’approvazione parlamentare e europea del Pnrr; ha compiutamente trattato in tutte le sedi istituzionali competenti, nazionali, europee, internazionali, i punti sul tappeto; ha contabilizzato la maggiore crescita del Pil dell’area euro; ha portato a casa, superando di slancio alcune difficoltà che sono subito apparse solo strumentali al miglior posizionamento di una componente della maggioranza, una accettabile riforma della giustizia penale; ha capitalizzato a suo favore un voto del Movimento Cinque Stelle per la leadership di Conte, che rafforzerà l’anima moderata e governista e impedirà sussulti auto – ed eterodistruttivi; ha ribadito una linea di fermezza per quanto riguarda i comportamenti vaccinali, pur non giungendo all’obbligatorietà; nello stesso tempo, ha salvato il principio del reddito di cittadinanza, condannandone le modalità operative con cui è stato realizzato; non da ultimo, ha incrociato la fortuna di un paese che vince nel calcio e nell’atletica.

Nei prossimi mesi si tratterà di dare compiuta attuazione al Pnrr, nelle sue dimensioni cruciali del reclutamento del personale, della sua formazione, del monitoraggio, della progettazione continua e modulare rispetto alle nuove esigenze che sorgeranno: la governance è adeguata, ma non si potrà abbassare la guardia, cercando una adeguata collaborazione pubblico-privato e il massimo coinvolgimento delle strutture pubbliche di ricerca, specie dove vi sono delicati interessi collettivi in gioco. Andranno tenuti sotto controllo gli egoismi territoriali che, fra regionalismo differenziato, Pnrr e Mezzogiorno, tema di Roma Capitale, rischiano di ripresentarsi, anche a causa di qualche goffa uscita in funzione di recupero di ritardi storici su questi temi.

I due passaggi più interessanti dei prossimi mesi hanno però una dimensione tutta politica e qui si verificherà quello che sta succedendo nel sistema dei partiti, che nel silenzio e forse senza un’adeguata riflessione collettiva si va riorganizzando. Ad una osservazione attenta si intravedono invero i movimenti di un nuovo ballo, una sestiglia, in cui maggioranza e opposizione, pulsioni governative e pulsioni antisistema, spinte centrifughe e spinte centripete si intrecciano, si contrastano, si bilanciano, ancora cercando una definitiva collocazione.

La prima coppia – un po’ immusonita, con lo sguardo in cagnesco – che si presenta stretta stretta al nuovo ballo di società è quella Pd – Lega: ambedue componenti cruciali della maggioranza, ambedue dotati di una solida base popolare e di voti, ambedue insoddisfatti della convivenza, ma intimamente convinti della insostituibilità del governo Draghi, giacché i loro elettorati non sopporterebbero un tradimento. Botte da orbi, durante il ballo, perché qui si gioca la partita fondamentale (questa coppia può valere tra il 40 e il 45% dei voti); continua ricerca del colpo che permetta di dare soddisfazione al proprio elettorato: ma anche prudenza nella gestione di una partita in cui chi sbaglia rischia di perdere il centro sostanziale della collocazione politica dei prossimi anni. E i due contendenti lo hanno finalmente capito.

La seconda coppia (in realtà, un gruppetto con più personaggi) che si presenta è più morbida, più imbellettata, più sfumata nei suoi contorni, quasi se ne confondono i connotati, minori sono i tentativi di colpirsi, maggiori invece i salamelecchi e i complimenti: sono i “centristi” di qua e di là, pronti a rimanere nel loro campo, ma anche a costituire ponti, archi, passaggi. Tra forzisti, cattolici, moderati, renziani, Azione di Calenda, radicali, verdi, il terreno è scivoloso, non è detto che la partita provochi spostamenti definitivi, ma è sicuramente da seguirsi con interesse, anche per un valore totale che può raggiungere facilmente un quindici-venti per cento dell’elettorato: il passaggio cruciale saranno le elezioni comunali, in particolare a Roma, in ragione della presenza di Calenda (in questa prospettiva, appare difficilmente comprensibile la recentissima proposta di Conte di una legge speciale per Milano…).

La terza coppia è quella apparentemente più lontana, quella che nel ballo a cui stiamo assistendo sembra quasi nemmeno sfiorarsi, giacché l’una forza – Fratelli di Italia – è collocata all’opposizione, l’altra – i vecchi-nuovi 5 Stelle – dentro la maggioranza. Eppure, per le storie politiche e sociali che hanno questi movimenti e i loro elettorali, proprio qui potrebbero avvenire gli spostamenti di voto più significativi, quelli che potrebbero determinare in positivo la vittoria di uno o dell’altro degli schieramenti tradizionali sinistra – destra, ovvero il successo di una prospettiva centrista. Il tema di fondo è se l’anima antisistema dei 5Stelle, specie al Sud, verrà intercettata dal sentimento antigovernativo dell’opposizione di Fratelli di Italia ovvero se, al primo o al secondo turno, anche questa anima rinunzierà alle vecchie chimere e aderirà alla prospettiva moderata di Conte.

Lo snodo saranno le elezioni comunali e regionali (Calabria) che coinvolgono oltre dodici milioni di italiani e alcune grandi città (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna) e poi, a inizio 2022, le elezioni del nuovo Capo dello Stato. Il governo potrà accompagnare questi processi, ma non sarà l’unico attore. La classe dirigente di questo Paese (che esiste e resiste, anche se qualcuno vorrebbe continuare a distruggerla!), se non vuole decampare alle sue responsabilità dovrà partecipare a questa scelta, in cui si deciderà se optare per la continuità di indirizzo politico-costituzionale per un più lungo periodo di tempo ovvero per la continuità dell’indirizzo di governo per un periodo più breve. Pro e contra andranno attentamente soppesati.

Si tratta di una scelta dagli inevitabili risvolti costituzionali e politici, nazionali europei ed internazionali, di una scelta difficile da ponderare con attenzione, centrale per la collocazione europea e internazionale del nostro Paese, rispetto alla quale non possiamo permetterci di sbagliare. L’Italia è già stata altre volte al centro delle scelte mondiali (Yalta 1947; compromesso storico, caso Moro, terrorismo, attentato al Papa, fine anni ’70-inizi anni ’80); sottovalutare questa fase nuova, e i nuovi equilibri europei e mondiali che si vanno creando, potrebbe essere un errore imperdonabile.