Da vincitore a vinto, il cambio di ruolo in questa politica così fluida può essere repentino. Ed è in questo momento il rischio di Giuseppe Conte che convinto di “eliminare” una volta per tutte il nemico interno Luigi Di Maio, rischia invece di essere colpito dal boomerang delle sue stesse invettive e delle sue stesse truppe. Perché delle due l’una: o il leader dei 5 Stelle porta a casa l’obbligo del tetto al secondo mandato per i parlamentari e ottiene un netto no alle armi nel testo della risoluzione Ucraina che il Parlamento voterà martedì, oppure si dovrà rimangiare tutto. E da “vittima” di una scissione voluta da altri, sarà invece costretto a provocarla. Assumendone tutte le conseguenze.

Partita complessa da spiegare con cura. Sapendo che il vaffa Conte-Di Maio andato in scena giovedì 16 giugno e il testo della risoluzione di maggioranza sull’Ucraina che il Parlamento voterà il 21 sono le due facce della stessa medaglia. Ieri pomeriggio il sottosegretario Vincenzo Amendola ha riunito alla Camera i capigruppo di maggioranza e i responsabili delle Commissioni per procedere con la scrittura del testo. L’obiettivo è una mozione unica. Ieri sera non risultavano intoppi anche perché si è finora proceduto in base all’ordine del giorno del Consiglio Ue del 23 e 24 giugno e ai punti condivisi: via libera all’Ucraina allo status di candidata all’ingresso nella Ue; sì alla linea del governo sul patto di Stabilità; superamento del criterio di unanimità nelle decisioni Ue; via libera al Fondo di compensazione per gli stati più dipendenti dal gas russo; sblocco del grano ucraino. È stato invece rinviato a lunedì il nodo del sostegno militare e la grana delle armi. Conte dice e ribadisce da quasi due mesi: basta invio armi, no escalation. In pratica l’asticella dei 5 Stelle contiani è ferma sul fatto che nel testo deve essere eliminato ogni riferimento un nuovo invio di armi.

Cosa praticamente impossibile. Un quarto invio non è al momento all’ordine del giorno, non oggi, non domani e neppure il 24 giugno probabilmente. Ma lo potrebbe essere tra un paio di settimane in base a quello che è stato deciso nella riunione dei ministri della Difesa nella riunione Nato di due giorni fa. Ed è esattamente in questo punto che prende forma il boomerang di Conte. Dopo la sconfitta delle amministrative (M5s tra il 2 e il 6 %), Conte ha messo in campo la reazione. Che non è stato il mea culpa e l’analisi della disfatta ma il rilancio (rafforzato anche dalla decisione del tribunale di Napoli che ha confermato pieni poteri a Conte) della sua governance. Con due decisioni: nomina dei coordinatori locali (ma sempre di stretta e assoluta fede contiana) e referendum con votazione on line sul secondo mandato. È la questione più spinosa visto che 69 su 227 degli attuali parlamentari hanno già fatto due mandati e quindi non potranno più essere candidati. A meno che non sia prevista una deroga allo Statuto. È una questione che poteva essere affrontata a settembre. Invece Conte l’ha messa sul tavolo adesso, “al voto entro giugno”.

Perché questa fretta? Il deputato 5 Stelle, di chiara fede dimaiana, non ha dubbi: “Conte, presuntuoso e arrogante, invece di analizzare la sconfitta e ragionare insieme sul da farsi, rilancia su altri temi e cerca il pretesto per accusare noi e Di Maio che chiediamo trasparenza e coerenza con il nostro stare al governo di essere dei poltronari e di volere la scissione”. Infatti – e s’arriva al “vaffa” di giovedì – in risposta al j’accuse di Di Maio, Conte ha gioco facile nel lanciare l’accusa meschina: “È chiaro che essendo arrivato il momento della decisione sul secondo mandato, alcuni parlamentari 5 Stelle hanno problemi personali”. In pratica, se Di Maio parla di “scarsa trasparenza” e accusa la leadership di Conte di essere “presuntuosa e ambigua” e di “attaccare il governo per inseguire Salvini”, è solo perché teme di essere fatto fuori perché gli iscritti chiamati a votare diranno sì al tetto del secondo mandato. Quindi, sempre secondo la versione di Conte e alleati, “è Di Maio che strappa per primo per farsi un partito”. A quel punto Conte avrà mani libere di avere il suo partito, le 5 Stelle e di uscire dalla maggioranza per una lunga campagna elettorale “contro” Draghi.

Ma Conte potrebbe aver sbagliato i conti. Infatti ieri, prima Sergio Battelli, presidente della Commissione Affari europei della Camera, e poi lo stesso Di Maio hanno sparigliato le carte e hanno invitato gli iscritti a votare no alla deroga al secondo mandato. E auspicando un quesito netto e chiaro, al riparo da scappatoie ambigue. Del tipo. Volete confermare il tetto del secondo mandato? Sì/No. Grillo interviene e dice no al terzo mandato. Le truppe sono schierate. I contiani alternano per tutto il giorno dichiarazioni contro Di Maio e la sua presunta “voglia di partito” e quindi di “scissione”. Di Maio e i suoi mantengono il sangue freddo: “Cosa dirà adesso Conte ai suoi fedelissimi, Taverna e soci, che rischiano di non essere candidati e si aspettano la deroga? O li accusa di essere poltronari o rischia la rivolta interna”.

Stai a vedere che la scissione che Conte voleva provocare addossandola al ministro degli Esteri, potrebbe essere costretto a farla lui per primo. La linea del Piave, per Conte, sarà il testo della risoluzione sull’Ucraina. Riuscirà ad andare fino in fondo con il no alle armi ora e per sempre sconfessando così la linea di politica estera del governo Draghi che ha deciso invece di muoversi in ambito Nato e Ue?

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.