Di Maio dà l’aut aut-aut a Conte perché “non si può minacciare un giorno sì e l’altro pure il governo per imitare Salvini”. Il quale alla fine vota la riforma del Csm e il testo Cartabia (ieri mattina al Senato) ma cinque dei suoi non votano (tra cui Calderoli e Ostellari) e l’aula di palazzo Madama tra mercoledì e giovedì è stato un Vietnam tra richieste di voto segreto, distinguo, emendamenti, filibustering. L’implosione continua. E c’est ne qu’un debut, non è che l’inizio. Da qui ad ottobre il quadro politico italiano è destinato a profonde revisioni e rivisitazioni. Come previsto, le amministrative di maggio hanno innescato l’attesa reazione a catena e non è chiaro ancora il punto di caduta.

“Bambini che giocano” li definisce Carlo Calenda. Ce l’ha con Matteo Salvini e Giuseppe Conte, anche con Luigi Di Maio, “se prima era inutile e dannoso, adesso è solo inutile” . La situazione è magmatica. Pochi scommettono un solo centesimo sulla crisi di governo estiva, un Papeete 2 tre anni dopo. Soprattutto dopo la pandemia e in piena guerra con venti di crisi economica e recessione come l’Europa non ha mai visto. Nonostante le provocazioni di Giorgia Meloni, uscita rafforzata dalle urne e pronta a giocarsi palazzo Chigi come leader del centrodestra, la verità è che non sembra esserci veramente all’orizzonte un capo politico che si assume la responsabilità di una crisi e di andare a guidare il paese in un contesto come questo.

Gli sconfitti che fanno tremare la maggioranza
Conte e Salvini, gli sconfitti delle amministrative 2022, fanno tremare la maggioranza. E mentre Draghi è a Kiev per una missione storica e chiave al tempo stesso con Macron e Scholz, loro provvedono a fare bizze e dispetti. A fare chiarezza arriva inaspettato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. La convocazione per i giornalisti è poco prima delle 13 in piazza del Parlamento. La riforma del Csm è stata appena approvata al Senato. Doveva essere il primo piatto di giornata regalando alla Lega e a Salvini il ruolo di kingmaker della giornata. Come era stato il giorno prima. E invece arriva Di Maio e il baricentro di giornata salta. O meglio, si sposta. Il titolare della Farnesina parla una decina di minuti.

Per dire tre cose: Conte è un leader troppo “autoreferenziale” tanto che io Di Maio “vengo qui a parlare e a dire queste cose perché non saprei dove altro farlo”; il Movimento non è mai andato così male in un appuntamento elettorale; basta con gli attacchi al governo e alle sue alleanze storiche continuamente mese in discussione e tutto per imitare Salvini. A margine numerosi altri concetti, ad esempio che il governo in questo momento va supportato nel fare le scelte giuste per aiutare la diplomazia (“vi assicuro che dal primo giorno di conflitto lavora ogni minuto”) che è un messaggio per Salvini. O quello per cui “tutti noi invece di attaccare il governo dovremmo aiutarlo a fare le scelte giuste per diversificare e aiutare i cittadini più deboli”. E quindi poveri. È lo strappo di cui si parla da mesi. E adesso chi va dove? Chi muoverà per primo per fare la scissione?

Uno strappo che non si aggiusta
All’improvviso la Lega sparisce dal dibattito di giornata. E subentra Di Maio ma soprattutto il Movimento e la leadership di Conte in un botta e risposta che occupa il resto della giornata. Rafforzato dalla sentenza di Napoli che pare aver chiuso per sempre la stagione dell’incertezza e quindi consegna definitivamente all’ex premier le chiavi del Movimento e il potere di fare le liste, Conte mette in tavola la spiegazione più odiosa e velenosa. Lo sfogo di Di Maio era prevedibile visto che “siamo alla vigilia di una decisione storica sul secondo mandato” e poiché il ministro degli Esteri è come tanti altri tra coloro che dovrebbero uscire dalla scena politica perchè hanno già consumato il secondo mandato, vorrebbe mettere le mani sul Movimento per aggirare il divieto di un terzo mandato.

Nelle condizioni del ministro degli Esteri sono tutti gli altri ministri M5s e circa la metà degli eletti “Di Maio vuole fondare nuovo partito? Ce lo dirà lui in queste ore – osservava Conte un paio d’ore dopo la dichiarazione del titolare della Farnesina. “Io aggiungo che siamo alla vigilia di un appuntamento importante come la valutazione sul doppio mandato. Quindi è un momento di fibrillazione preventivabile per le sorti di moltissime persone del movimento”. Nelle varie dichiarazioni in replica, Conte sfiora il ridicolo almeno tre volte. La prima quando rivendica la missione a Kiev dei tre leader europei (“è una proposta 5 Stelle”). La seconda quando definisce “stupidaggini” dire che il Movimento antiatlantista e anti Ue: eppure, per restare ai giorni nostri, Conte ha iniziato a boicottare la politica estera del governo Draghi due settimane dopo l’inizio della guerra. Infine quando osserva che “fare polemiche mentre il premier è in missione danneggia il governo”: una tempistica che lui stesso non sembra aver osservato troppo spesso. Insomma, ieri Conte e Di Maio hanno fatto quello che era nell’aria da tempo: si sono mandati a quel paese. E questa volta non si aggiusta.

Agenda fitta e piena di insidie
Il problema è che tra Salvini accerchiato e Conte a un passo dalla scissione, il cammino del governo diventa veramente difficile. Al di là della volontà di provocare una crisi (che in realtà non c’è), in queste condizioni l’incidente è dietro l’angolo. L’agenda Draghi per il Pnrr è fittissima e non c’è quasi un solo punto dove regni l’armonia. Gli scogli sulla rotta tracciata da Mario Draghi sono tanti: si va dalla concorrenza al dl Aiuti (quello con il termovalorizzatore di Roma) passando per la risoluzione (martedì 21) sull’Ucraina che tanto preoccupa M5s. Da non dimenticare i temi economici su cui i partiti esercitano pressioni forti e contrastanti, come pensioni e salario minimo. Spinosa si annuncia anche la discussione sul superbonus e i crediti, con vari partiti, M5s in testa, che vogliono rilanciare una misura sulla quale proprio Draghi non ha nascosto la propria avversione.

Dopo la battaglia sui balneari, si profila all’orizzonte quella sulle licenze dei taxi. Il Concorrenza, che contiene entrambi, è uno dei provvedimenti chiave per gli obiettivi del Pnrr. Crea una certa apprensione il fatto che la Lega abbia chiesto lo stralcio dell’articolo 8, ossia la delega in materia di servizi pubblici locali. In tutto questo bailamme, si parla di una “nuova cosa rossa” a sinistra con Conte che strizza l’occhio a Bettini e un pezzo di Pd come Orlando e Provenzano. I centristi osservano le scene e fanno i conti. L’area Draghi è in cerca di un tetto. Il copyright è di Matteo Renzi.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.