Luca Palamara, nell’intervista che ha rilasciato al nostro Paolo Comi, è stato spietato nei confronti della magistratura. Io penso che ci si possa fidare di lui. La conosce bene la magistratura. L’ha frequentata in lungo e in largo, nel bene e nel male, nelle retrovie e in prima linea. Conosce i soldati e i generali. La sua denuncia mi sembra che si concentri su un punto: lo strapotere delle Procure e dei Pm. Ci spiega bene questo strapotere, che non consiste – come in genere si dice – nei rapporti con la politica. Anche se quei rapporti spesso ci sono e sono palesi ma illeciti. Consiste nel ruolo stesso che è stato consegnato ai Pm, nel grado della loro indipendenza e delle loro competenze. L’indipendenza è considerata dai Pm semplicemente come il diritto di essere al di sopra di ogni controllo. Dominus senza condizioni.

Le competenze danno loro il potere di comandare ogni tipo di polizia, anzi di sceglierla, di decidere come e dove indirizzare le indagini, di gestire i rapporti con la stampa, e la subordinazione della stampa, e anche di esercitare una influenza fortissima sulla magistratura giudicante, che nel disegno istituzionale dovrebbe essere la controparte del Pm, ma nella realtà, salvo eccezioni, è molto spesso una parte sottomessa. Ora la riflessione che va fatta, credo, è questa. Proviamo anche a disinteressarci del problema di come avvengono le nomine e di come il partito dei Pm domini la giustizia, la renda dipendente di se stesso e di come condizioni con facilità la politica. Poniamoci invece questa semplicissima e drammatica domanda: il partito dei Pm è in grado di condizionare i processi e le sentenze?

Il problema veramente drammatico che abbiamo davanti è esattamente questo. Perché la risposta alla domanda che ho posto è inequivocabile: sì, i Pm sono in grado di condizionare le sentenze e lo fanno con una certa frequenza. E le sentenze, e il corso dei processi, spesso sono merce di scambio, o partita di giro nelle trattative di potere che avvengono tra le correnti, nelle correnti, e nei rapporti tra Procure e Giudici. Capite che vuol dire? Che in Italia non esiste la giustizia. E che il destino dei cittadini che a centinaia di migliaia, o forse a milioni, incontrano la strada della magistratura, non sarà determinato dalla giustizia o dalle leggi o dal diritto, ma dai giochi di potere nella magistratura. Lo dico meglio: viviamo in una società illegale. La domanda di giustizia è del tutto inevasa. La speranza per un cittadino per bene che finisca nelle maglie della giustizia, è che il Pm abbia interesse o inclinazione a favorirlo.

Tutto questo lo abbiamo scoperto grazie al trojan? No, lo sapevamo, i giornalisti lo sapevano: però tacevano. Per convenienza, per complicità.
Si può correggere tutto questo? Sì, ma non bastano certo le riformette di Bonafede. La separazione delle carriere va realizzata immediatamente. E poi bisogna trovare il modo giusto per salvare l’indipendenza della magistratura e annullare il potere dei Ras. Probabilmente va messa in discussione l’indipendenza del Pubblico Ministero. Che, del resto, non esiste in quasi nessun paese democratico.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.