La guerra e la Nato, l’Occidente plurale e il riflesso pavloviano di chi guarda al presente con le lenti ideologiche del passato. Il Riformista ne discute con Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla prestigiosa Columbia University di New York .

L’Europa si è messa nelle mani di una “Super Nato” a trazione americana?
Confesso che su questo sono divisa e sento di dover articolare la mia risposta, che non è “si si /no no”. Per diverse ragioni e alcune in particolare. Prima di tutto, perché rispetto a questa guerra non si può non riscontrare una dissonanza di interessi strategici ed economici tra l’Europa e gli Stati Uniti, anche per la ragione evidente per cui questi ultimi sono lontanissimi dalla guerra. Quando si dice che ci sono interessi divergenti si fa diretto riferimento a interessi materiali – la questione è utilitaristica o prudenziale, non di principio. E poiché, come sta scritto nel trattato della Nato, i membri dell’Alleanza, “aspirano a promuovere il benessere e la stabilità” nell’area geopolitica in questione, la dissonanza che oggi verifichiamo non dovrebbe risultare incomprensibile ai paesi che stanno dall’altra parte dell’Atlantico, né dovrebbe essere da questi ignorata o non considerata. Se di alleanza si tratta, allora il benessere e la stabilità sono di tutti non di alcuni in particolare o di alcuni prima e sopra gli altri. Alla dissonanza di interessi, tuttavia non corrisponde una divisione politica o di principi politici: noi italiani ed europei apparteniamo a quella parte che il ministro degli Esteri russo, Lavrov, e naturalmente il suo capo Putin chiamano con disprezzo “Occidente”. L’uso di questa categoria polemica non è nel nostro interesse ed è sbagliato anche perché semplicistico.

Perché?
L’Occidente è internamente plurale per ragioni di cultura storico-politica, sociale e religiosa, e nelle caricature che ci vengono dai leader russi questa pluralità scompare. Io in questo Occidente ci sono nata, ho studiato, lavorato, coltivato le mie idee come tutti noi e quindi mi sento parte di questo mondo. Un mondo che non è un’isola, ma è quel che è proprio perché in relazione con tutti gli altri paesi del mondo e le altre parti geo-politiche. Relazione plurale anch’essa, con aspetti di insopportabile dominazione, lo sappiamo, e con aspetti di differenziazione interna e anche di profonda divisione ideologica. Ma questa realtà articolata e plurale scompare quando ci si riferisce “all’Occidente” come a una categoria valoriale, quindi per mitizzarla o per stigmatizzarla. In questa ottica, la dissonanza e perfino l’inimicizia all’interno dell’Occidente è non solo possibile ma perfino normale e positiva. Proprio perchè “Occidente” è un termine ideologico e quindi complesso e aperto al dissenso interpretativo – tutti noi condividiamo alcuni principi fondamentali, come i diritti e l’eguale dignità delle persone, ma non tutti traduciamo questi principi nella stessa visione ideal-politica: alcuni sono neoliberisti altri sono socialdemocratici; per alcuni la democrazia non può non preoccuparsi delle condizioni socio-economiche della libertà politica, per altri questo problema dovrebbe essere lasciato al mercato; per alcuni la laicità implica equal considerazione della individuale libertà religiosa per altri implica anche il riconoscimento da parte dello Stato delle chiese costituite e maggioritarie, e via di seguito.. In questi tre mesi di durissime polemiche, di guerre di parole nella quali ci siamo trascinati quotidianamente, mi è sembrato a volte che l’Occidente fosse narrato come l’inferno, Belzebù, la sede nascosta di complotti per un nuovo ordine globale e della stessa pianificazione dell’invasione dell’Ucraina. Queste teorie cospirazioniste fanno audience; se ad essere si demanda la definizione dell’Occidente, non resta molto da aggiungere. Secondo me in questa larga esperienza che ci accompagna almeno dalla fine della Seconda guerra mondiale vi è molto di più.

Quale valore emerge da questa storia?
Lo spirito della libertà individuale e di quella collettiva, per esempio. Lo spirito del dissenso che non è motivo di scandalo; che fa posto alle arrabbiature feroci, alle intransigenze, quando le cose che succedono sono ingiuste, contraddicono i principi assunti come costitutivi. Questa aperta condizione di riflessione critica, di dissenso è parte della “cosa” che lei mi chiede di esplicitare. Per me questo è sufficiente perché implica limitazione del potere costituito e divisioni dei poteri, diritti sanciti da costituzioni. Com’è sufficiente il fatto di essere liberi di criticare il nostro mondo e le varie opinioni che lo compongono e lo animano, quotidianamente. Non è forse questo un principio solido che ci accomuna?

Dietro certi no alla Nato non c’è anche una sorta di riflesso pavloviano di chi guarda al presente con le lenti ideologiche del passato?
Lei l’ha detto. A volte sembra di assistere a un transfer in questa opposizione. È la prima volta, dalla fine della Guerra fredda, che c’è una opposizione esplicita nel nostro continente tra quelli che una volta erano i due imperi ideologici. È come un déjà-vu ma in una veste nuovissima e per me incomprensibile quando si manifesta a sinistra. Questo perché ora, in questo caso, nell’Europa dell’Est non vi è il paese che rappresenta gli ideali del Sol dell’avvenire. Se era lontano prima da quegli ideali (almeno da un certo punto in poi della sua storia sovietica, e le interpretazioni su quando stabilire il “quando” sono diverse) oggi quel paese esprime l’opposto. Noi dimentichiamo che la fine dell’Unione Sovietica è stata per moltissimi ex-sovietici celebrata con un bagno straordinario di consumismo più che di libertà civili e politiche. Vedevamo i turisti arrivare dalla Russia nelle nostre aree di villeggiatura con pacchi di soldi per comperare di tutto – nacquero centri commerciali “per i russi” ovvero per soddisfare i loro gusti. Insomma, la libertà è stata spesso e con incredibile leggerezza identificata con gli scaffali pieni nella convinzione che il mercato avrebbe risolto i problemi del socialismo di stato. Una visione essenzialmente economica della libertà che piace tanto anche ai neoliberisti dell’Occidente. “Dalla sera alla mattina, Milton Friedman e Friedrich von Hayek sloggiarono Karl Marx e Friedrich Engels” ha scritto Lea Ypi nella sua splendida biografia Libera. Diventare grandi alla fine della storia (Feltrinelli 2022). E a noi, a Ypi e a me in questo caso, interessa che la libertà non sia egemonizzata dal mercato e dall’economica; e interessa che a Marx sia ridato un posto centrale nella riflessione critica sull’ordine capitalistico, che sia studiato come teorico della libertà. Non ci nascondiamo dietro a un dito, quindi: la Russia di oggi non è l’Unione Sovietica, non lo è nemmeno per colore che in quel tipo di socialismo di stato e centralizzato ci credevano. Essi sanno bene che oggi la Russia è dentro un sistema iper-capitalistico e iper-oligarchico. Però…

Però…
Rappresenta comunque quello che non è “Occidente” – “quell’Occidente” semplificato ad usum delphini di cui si parlava sopra. In questa cornice ci viene proposto questo dualismo – per cui alcuni incensano l’Occidente sull’altare e lo venerano e altri lo mettono all’inferno. Si tratta di attitudini e mentalità di tipo religioso che oltre ad essere stucchevoli in sé sono spesso scientemente usate per ragioni pubblicitarie. La qual cosa significa che esiste un mercato di fedeli, i quali però hanno fedi negative – ovvero non per quel che è la Russia oggi ma per quel che è il nostro mondo qui, in questa Italia, in questa Europa, in questo Occidente. Si parla spesso di quella ucraina come di una guerra per procura. Ebbene, anche nella sfera delle opinioni viviamo una guerra per procura – dietro l’opposizione agli aiuti all’Ucraina, ovvero contro la Russia, vi è – a sinistra – una opposizione alla politica dei nostri governi verso le loro società. Allora, non sarebbe meglio dismettere la simbologia della guerra per procura e direttamente aggredire i problemi? Quindi, e qui penso soprattutto a chi si colloca a sinistra, per molti questa guerra ha accreditato una visione opposizionale; ovvero non è che essi vogliono “fare come la Russia”. Ma si oppongono a “questo” Occidente che si è negli ultimi decenni autoconvinto di essere “uno”, “unico” e senza nemici, appunto alla “fine della storia”. Non hanno tutti i torti a non volere “questo” Occidente. Ma non sarebbe meglio aggredire di problema direttamente?

Siamo passati dallo “Scontro di civiltà”, la “bibbia huntingtoniana” dei neo con americani ai tempi della guerra in Iraq intrapresa da George W.Bush, al paradigma democrazie liberali vs autocrazie che dovrebbe fornire la cornica ideologica alla guerra in Ucraina e non solo?
Nei momenti di radicale polarizzazione, in un tempo che io ho definito “binario” qual è quello in cui viviamo, c’è questa tendenza. Che va combattuta proprio per i suoi connotati teologici (i principi di libertà sono criteri di giudizio e guide all’azione non dogmi da santificare o all’opposto stigmatizzare) e le conseguenze concrete che questo composta. Guardarsi quindi dall’astuta creazione della democrazia come religione dell’Occidente, che è poi quel che Putin e Lavrov fanno. L’opposizione alla democrazia cos’è? E’ chiaro che se uno ascolta Lavrov o gli ideologi legati al Cremlino, costoro ti dicono che è possibile una democrazia autoritaria fondata sulla religione identitaria del nazionalismo per esempio, e che essa è migliore delle nostre democrazie liberali, e utilizzano questo termine “democrazie liberali” come uno stigma (anche Salvini e la Meloni sono d’accordo). Detto questo, va subito aggiunto che dobbiamo evitare di trasformare le democrazie in un mito – per la democrazia sarebbe una trappola micidiale. Perché la democrazia non è né un mito né una ideologia. È un sistema politico fatto di principi generativi (le uguali libertà) e di metodi procedurali e istituzionali (la forma costituzionale) – un ordine politico e una forma di vita politica pubblica che riguarda i cittadini tutti, governanti e governati. Un ordine pieno di difetti, in permanente moto, e che è e anzi deve essere sempre oggetto di giudizio critico; poiché il suo tenore dipende proprio da noi, da quel che facciamo o non facciamo. Questo è. Occorre evitare di trasformare questa guerra (guerreggiata sul campo di battaglia per ragioni tutte nazionalistiche) in una simbologia altra, che va proprio contro i nostri interessi.

In tutto questo, sia sul versante americano che su quello europeo, c’è ancora vita a sinistra?
Oddio mio. Non lo so. Se c’è occorre veramente una lente d’ingrandimento.

 

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.