Stefano Fassina, parlamentare di LeU, già vice ministro dell’Economia nel governo Letta, non ha indossato la mimetica, calzato l’elmetto, ingrossando le fila degli interventisti progressisti. Con Il Riformista rivendica e argomenta il suo “no” parlamentare al “decreto Ucraina” e all’aumento delle spese militari. E alla sinistra interventista dice: non mi avrete.

Biden ha trasformato il recente vertice Nato in un consiglio di guerra. Il presidente Usa ha “convocato” il 10 maggio prossimo alla Casa Bianca l’alleato Draghi. Siamo in guerra, de facto. E la sinistra?
Formalmente non siamo co-belligeranti. Ma sul piano sostanziale, non verremo assolti perchè siamo sempre più coinvolti in un’avventura militare che, da sostegno alla difesa dell’Ucraina, diventa ogni giorno in modo più esplicito regime change a Mosca. I governi europei, tutti, non soltanto il Governo Draghi, sono a rimorchio degli Stati Uniti. Non riescono a definire una posizione comune per spingere Washington ad avviare un negoziato. “Per la pace non c’è abbastanza volontà” ha affermato a Il Corriere della Sera Papa Francesco. La responsabilità primaria è dell’aggressore. Ma chi guida la Nato a quale obiettivo punta? Siamo in un tragico paradosso: il coinvolgimento della Nato è stato formalmente escluso; le sanzioni economiche più efficaci, ossia l’interruzione dell’import di gas, non ce le possiamo permettere, quindi versiamo al Cremlino almeno 700 milioni al giorno; però puntiamo, sono da ultimo le parole di Nancy Pelosi a Kiev, a far vincere la guerra all’Ucraina con la spedizione di armi sempre più potenti. Il paradosso alimenta la spirale di guerra e di morte. L’obiettivo di impantanare Putin è irresponsabile. Devastante per gli aggrediti in termini di costi umani e economici. Insostenibile per le lavoratrici ed i lavoratori europei. Apocalittico per le economie in via di sviluppo, a cominciare dall’Africa: la carenza di cerali e fertilizzanti e l’impennata dei loro prezzi allargherà le migrazioni di disperati attraverso il Mediterraneo. L’Italia sarà tra chi subirà i maggiori contraccolpi economici, sociali e politici. L’obiettivo del sostegno all’Ucraina deve essere il contenimento della Russia, quindi un compromesso con Putin accettabile per Kiev. Gli Stati Uniti e la Cina possono portare la Russia a fermarsi e trattare. La Sinistra chi è? Se utilizziamo in senso molto esteso il termine, nella sua parte più larga è incapace di esprimere un atlantismo adulto a difesa dell’interesse nazionale e di quelli che dovrebbero essere i suoi interessi sociali di riferimento; nella parte residuale, anche in Parlamento, facciamo testimonianza.

“C’era una volta il Parlamento. Ora c’è la guerra”. Titola così questo giornale l’editoriale di Piero Sansonetti. Operazione-Ucraina, Camere all’oscuro. Lei che della Camera dei deputati fa parte, cosa ne dice?
Ha ragione il direttore. Ma la marginalità del Parlamento precede la guerra. Vi sono ragioni strutturali. In primis, il sempre più stringente “vincolo esterno”, determinato da movimenti senza freni di capitali, merci, servizi e persone. Poi, il rattrappimento morale e intellettuale dei partiti e della classe politica. Durante il governo Conte I, a dicembre 2018, non esaminammo neanche il DdL di Bilancio a causa dei ritardi dovuti al braccio di ferro tra l’esecutivo e la Commissione europea e all’inemendabilità dell’equilibrio raggiunto. A seguito di un ricorso, anche la Corte Costituzionale ha riconosciuto il vulnus. Poi, è arrivato lo stato di emergenza pandemico. Ora la guerra. Ma non dobbiamo rassegnarci: la posta in gioco è troppo alta. Dal giorno del vertice militare Nato di Ramstein, in Germania, insisto affinché il Parlamento prepari, discuta e voti un’altra risoluzione sull’invio di armi all’Ucraina, dato il cambio di obiettivo del sostegno a Kiev. La risoluzione approvata a inizio marzo prevedeva, al punto 3, assistenza militare per la difesa dell’Ucraina aggredita, non per detronizzare Putin. Non è questione di fidarsi di Draghi, Guerini e Di Maio, ma, come ha sottolineato il Presidente Conte, di rispetto sostanziale della Costituzione.

Dall’Anpi alla Cgil, dal movimento pacifista e all’universo del mondo solidale: chi obietta viene additato dal pensiero unico interventista e dalla stampa mainstream come al servizio di Putin. Non le fa un po’ di paura questa informazione in mimetica?
Più che paura, mi preoccupa l’impoverimento della nostra democrazia. L’ho vissuto sulla mia pelle: per essermi espresso in dissenso nel voto sull’invio delle armi a Kiev, un suo autorevole collega mi ha inserito nella lista di proscrizione dei “Putinversteher”, i giustificazionisti di Putin. L’informazione in un sistema democratico, anche durante una guerra, non può essere propaganda. Si devono condannare le inaccettabili parole sugli ebrei di Sergei Lavrov a Zona bianca, ma la censura del dissenso o finanche del nemico è segno di debolezza. La saggezza popolare sulla guerra è profonda: nonostante il martellamento sulla “guerra giusta”, la contrarietà all’invio delle armi rimane larga. Anzi, vedo che i giornali più allineati, di fronte al mutamento dell’obiettivo militare, incominciano a pubblicare commenti orientati a realismo e a motivare le ragioni della trattativa.

L’Italia ha inviato armamenti all’Ucraina, ma quali essi siano non è dato sapere. Tutto è secretato. Come la vede?
La lista degli invii delle armi è nota soltanto al Copasir. Ma oltre alla qualità degli armamenti spediti, mi preoccupa l’escalation militare indotta dal cambio di obiettivo perseguito.

Si dice: la pace si fa col nemico. Ma è pensabile trattare la pace con un capo del nemico che definisci “macellaio”, “genocida” e che vorresti vedere in catene davanti alla Corte de l’Aia?
La condanna della Russia per l’aggressione e gli orrori compiuti dai suoi militari è senza se e senza ma. Tuttavia, qual è l’analisi dell’azione russa? L’insistenza sulla malata psicologia dello “zar”, sull’imperialismo russo, sul Donbass come i Sudeti del 1938, sulla definizione di genocidio per i crimini russi, sulla “guerra per la nostra libertà” implica puntare al regime change, ora riformulato in “vittoria dell’Ucraina”, poiché qualsivoglia compromesso sarebbe l’appeacement con Hitler. L’invasione dell’Ucraina è ingiustificata e ingiustificabile, ma per arrivare ad un compromesso devi riconoscere, per quanto si possano ritenere irragionevoli e infondate, le cause sentite dal tuo nemico e i suoi obiettivi: innanzitutto, la neutralità militare dell’Ucraina per la sicurezza nazionale di Mosca. Invece, è archiviata la grande scuola realista delle relazioni internazionali, ispiratrice fino all’89 di policy in grado di salvare l’umanità dall’olocausto nucleare. Anzi, vengono attaccate anche le voci più autorevoli e più radicate nella cultura liberal democratica o conservatrice, come John Mearsheimer dell’Università di Chicago o Naill Ferguson storico inglese con cattedra ad Harvard. In Italia, è raro trovare voci realiste. Spiccano gli interventi dei generali con lunga esperienza sul campo. Prezioso Il Riformista per far scrivere penne di qualità come, ad esempio, Michele Prospero. È evidente che non si chiede alcuna resa al Presidente Zelensky, ma noi italiani per primi sappiamo che la sovranità nazionale non è mai assoluta: la Storia conta e conta anche la geografi a. Purtroppo, le sfere di influenza continuano ad esistere. La Nato non può permettersi di trattare sul piano politico e militare la Russia come la Serbia di Milosevic, l’Iraq di Saddam o la Libia di Gheddafi . Va a finire male, anche se vinci, quando giochi al rialzo con chi ha 6000 testate nucleari.

Il leit motiv di coloro che hanno votato l’invio di armi alla resistenza ucraina è, in buona sostanza, che solo resistendo all’aggressore è pensabile aprire un tavolo per negoziare una pace giusta. I pacifisti contestano questa asserzione…
L’invio delle armi non è stato semplice da valutare. La mia contrarietà è stata l’esito di una riflessione piena di dubbi. Non sul piano etico, ma su quello dell’efficacia ai fini del raggiungimento della trattativa. Come trovo offensivo e stupido essere definito amico di Putin per il voto contrario all’invio, altrettanto offensivo e stupido è etichettare come guerrafondaio chi si è espresso a favore. Ora però è diverso: inviare armi all’aggredito per “vincere” contro un aggressore 10 volte più potente sul piano militare implica inevitabilmente l’escalation, finanche nucleare.

Ha scritto Donatella Di Cesare su questo giornale: “Non era mai avvenuto che il popolo della sinistra si sentisse così tradito nei propri ideali da coloro che hanno promosso una politica militarista. Prima hanno deciso l’invio delle armi, poi hanno votato l’aumento delle spese militari, ora sponsorizzano un’economia di guerra”. Lei si sente un “traditore”?
Come ho ricordato, sono stato tra i pochi a non votare per l’invio delle armi a Kiev. Sulle spese militari, è imbarazzante l’insistenza sul 2% del Pil a prescindere. Il punto anche qui è: a cosa è finalizzata la spesa militare? Possiamo discutere di politica, prima che di finanza pubblica? Una spesa per la difesa comune europea, integrata nell’ambito Nato, ma separabile, implicherebbe economie di scala, complementarietà, quindi risparmi. Ma non è il risparmio economico la variabile politica decisiva. La difesa comune, frutto di una cooperazione rafforzata tra i principali Stati europei, è condizione necessaria per un atlantismo adulto. Francia, Germania, Italia e Spagna la perseguono? Si continua a marciare divisi, anzi a riarmarsi separatamente ed acquistare ingenti armamenti dagli Usa, come ha deciso, con 100 miliardi di euro, il governo tedesco. Ovviamente, non è in discussione l’alleanza atlantica, ma possiamo riconoscere la differenza di interessi tra gli Stati core dell’Unione europea e l’asse Usa-Uk-Stati dell’Est?

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.