Chi si aspettava un moto di rabbia, una dichiarazione scomposta o l’immancabile anatema nei confronti del “mostro”, è rimasto a bocca asciutta. Già, perché dalla famiglia di Samuele Gargiulo, il bambino di quattro anni che il domestico Mariano Cannio avrebbe fatto precipitare dal balcone di casa in via Foria, è arrivata una lezione di stile prima ancora che di umanità e di garantismo. «I genitori di Samuele non cercano vendette né soluzioni catastrofiche nei confronti di Cannio», ha chiarito l’avvocato Domenico De Rosa nel giorno in cui centinaia di persone hanno dato l’estremo saluto al piccolo nella chiesa di Santa Maria degli Angeli.

Le parole del legale hanno spento il furore dei forcaioli che, nei minuti immediatamente successivi al fermo di Cannio, non avevano esitato a invocare per lui la classica pena esemplare. Certo, l’omicidio è il crimine più odioso di cui ci si possa macchiare. Ed è ancora più esecrabile se commesso ai danni di un bambino. Ma anche a un (presunto) assassino va riconosciuto il diritto di spiegare le proprie ragioni e di essere giudicato e magari condannato al termine di un processo con tutte le garanzie di legge. Vale anche per Cannio che, dopo la convalida del fermo da parte del gip di Napoli, si trova in isolamento a Poggioreale con l’accusa di omicidio volontario aggravato e del quale bisognerà ora verificare l’effettiva sussistenza della schizofrenia emersa durante l’interrogatorio di garanzia. Ecco perché, attraverso l’avvocato De Rosa, la famiglia Gargiulo ha fatto sapere di non essersi fatta «un’idea della dinamica o delle cause della tragedia» e di attendere solo ed esclusivamente «la verità». Insomma, niente pene esemplari, vendette e gogna: solo un giusto processo per Cannio e la verità per Samuele.

Per quanto provata, la famiglia Gargiulo ha affrontato anche un altro aspetto della morte di Samuele: la spettacolarizzazione del dolore. Subito dopo  la tragedia, infatti, il web è stato invaso da fotografie e video di ogni sorta. Sui social network ha cominciato persino a circolare un filmato che ritraeva la madre di Samuele piegata dalla disperazione davanti al cadavere del figlio. La stampa mainstream ha divulgato qualsiasi dettaglio della vita del bambino e del suo presunto assassino. Davanti al tritacarne mediatico, che troppo spesso spappola sentimenti e diritti, la famiglia Gargiulo si è limitata a invocare riserbo: «Rispettiamo il lavoro della stampa, quello della Procura e quello dell’avvocato di Cannio che ha già dato prova della riservatezza giusta e adeguata al caso».

Quella di ieri è stata anche la giornata dell’estremo saluto a Samuele. Una giornata in cui a farla da padrone sono stati il dolore e la rabbia, soprattutto quando un gruppo di persone ha scambiato per giornalista e aggredito un poliziotto in borghese che riprendeva il funerale con lo smartphone. A riportare la calma sono stati l’intervento delle forze dell’ordine e le parole di don Mimmo Battaglia che, dopo aver pregato in ginocchio davanti al feretro, ha esaudito la richiesta dei genitori di Samuele celebrando il funerale. «Chi perde i genitori è orfano, chi perde il coniuge è vedovo ma non esiste una parola per definire un genitore che perde un figlio», ha sottolineato l’arcivescovo di Napoli con la voce rotta dal pianto prima di rivolgere un messaggio direttamente a Samuele: «Prenditi cura di mamma, di papà e del tuo fratellino che ancora deve venire al mondo».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.