In un paio di trasmissioni televisive ho provato a dire una eresia, ma sono stato rintuzzato. L’eresia è questa: nella mia scala di valori ci sono tre valori sopra tutti gli altri, e questi tre valori sono il fondamento di ogni mia scelta e di ogni mio giudizio politico. In quest’ordine: La vita, prima di tutto, poi la libertà, e poi l’uguaglianza. La vita, per me, è un valore assoluto e sovraordinato rispetto a tutti gli altri. Mi sembrava una banalità. Invece mi dicono che è una idea codarda. Che la libertà è il primo dei valori e che l’indipendenza è il principio essenziale sul quale si fonda il valore della libertà. E mi dicono che se i martiri cristiani, e quelli del Risorgimento, e gli eroi della Resistenza avessero ragionato come me, non avremmo avuto il cristianesimo, non avremmo avuto l’Italia unita, non avremmo avuto la cacciata dei nazisti.

A me però questo ragionamento non convince. Io penso naturalmente che ciascuno di noi abbia il diritto di spendere ed eventualmente sacrificare la sua vita nel modo che ritiene migliore. E se la sacrifica per il bene della sua famiglia, del suo popolo, della sua patria compie un gesto molto nobile (anche se a me il concetto di patria non è mai stato chiarissimo). Io dico una cosa diversa. Dico che la vita del popolo, forse, non è giusto che sia sacrificata nel nome dei diritti di indipendenza del popolo. Quando c’è una guerra, e quando in questa guerra cadono migliaia e migliaia di civili, non c’è una scelta da parte dei civili. Non sono loro che si offrono in cambio della possibilità, talvolta remota, di conquistare l’indipendenza, o la libertà. Sono i governanti che scelgono tra due opzioni: trattare e barattare con il nemico, cedendogli qualcosa di quello che lui vuole in cambio della pace; oppure rifiutare questa via è alzare un muro di combattenti, mettendo in conto migliaia e forse decine di migliaia di morti, e colossali danni economici, e la distruzione di gigantesche quantità di risorse, e anche di intere città.

Perché dovrebbe essere uno scandalo se qualcuno chiede di mettersi un attimo ad un tavolo e con realismo valutare la situazione. Siamo sicuri che in certe condizioni la parola “resa”, naturalmente “resa” parziale e “resa” negoziata, sia una bestemmia? E non sia invece una bestemmia accettare di pagare un prezzo immenso in vite umane? Cioè siamo sicuri che il valore della vita sia negoziabile, e quello dell’indipendenza di parti del territorio invece non lo sia? A me non pare un’eresia. E qui non c’entra molto neanche il pacifismo. O il cristianesimo di Bergoglio (diceva Gesù: “o sono la via, la vita e la verità”, non diceva io sono l’indipendenza e l’identità nazionale…”). C’entra il buonsenso, la realpolitik. E il rispetto per la collettività e il bene comune. Quanta retorica c’è nella difesa della vita? A me sembra zero retorica. E quanta retorica c’è nella difesa dell’indipendenza e della patria? Spesso c’è parecchia retorica.

Di solito in questi casi si usa ricordare il passato. Era giusto o no morire per Danzica? E allora non è giusto, forse, morire per il Donbass? Ci sono moltissime cose che sono cambiate da allora. Sul piano della politica, degli Stati, della potenza militare, del rapporto tra guerra e popolazione civile. Ma soprattutto è cambiata una circostanza essenziale: la globalizzazione. Da almeno trent’anni la globalizzazione è avviata e inarrestabile. Si oppongono alla globalizzazione le dittature e le frange politiche reazionarie che vorrebbero fermare le migrazioni delle persone. Ma si oppongono senza la possibilità di vincere. La globalizzazione tende a ridurre il mondo a uno. Unico e interdipendente. A travolgere i confini, le piccole e grandi patrie, le nazionalità e i nazionalismi. Nessuna potenza può vivere più senza accettarne le regole.

Per questo è più facile anche il negoziato. Lasciamo stare la discussione sulle sanzioni. Secondo voi se le grandi potenze si fossero riunite a un tavolo per decidere il destino del Donbass e della Crimea, e si fossero radunate senza intenti punitivi neanche nei confronti della Russia, la guerra ci sarebbe stata o no? E secondo voi la globalizzazione permette o no di condizionare e controllare i comportamenti delle nazioni, anche delle più aggressive? Io penso di sì. Per questo credo che l’indipendenza oggi valga poco. Abbia poco a che fare con i diritti e le libertà. Non riesco proprio a immaginare una bilancia a due piatti, dove il piatto con su il Donbass pesi più del piatto della vita.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.