Una vera riforma della giustizia non s’ha da fare! Questo il vero senso delle parole, che Letta sta spendendo, giorno dopo giorno, sul tema della giustizia. Dispiace rilevare che anche Mattarella ha pronunciato, probabilmente al diverso fine di tutelare le istituzioni, parole che, di fatto, possono avere lo stesso effetto. Ma procediamo con ordine.

Lo scadimento raggiunto dal precedente CSM nella amministrazione dell’Ordine Giudiziario è stato ben rappresentato dalla lettera pubblica, con cui Andrea Mirenda, presidente di sezione del tribunale di Verona, annunciava nel luglio 2017 di andare a fare il magistrato di sorveglianza come «gesto controcorrente, di composta protesta verso un sistema giudiziario improntato ormai ad un carrierismo sfrenato, arbitrario e lottizzatorio, che premia i sodali, asserve i magistrati alle correnti…». Successivamente, il trojan, che ha disvelato i rapporti di Palamara, ha portato alla luce una realtà ancora più ampia e degradata di quella denunciata da Mirenda. Ha fatto seguito la pubblicazione del libro intervista Sallusti-Palamara, che ha dato conto dell’esistenza di un sistema, capace di influenzare non solo l’attribuzione degli incarichi nell’ambito dell’ordine giudiziario, ma anche l’esito dei procedimenti.

Il sistema avrebbe anche determinato l’elezione dell’attuale vicepresidente del CSM. Sono divenute di pubblico dominio le registrazioni di alcune dichiarazioni di Amedeo Franco, giudice relatore nel processo in Cassazione che ha confermato la condanna di Berlusconi, secondo cui il collegio giudicante non sarebbe stato sereno. Un componente togato del CSM è andato in pensione per limiti di età, ma solo dopo aver condotto una battaglia strenua per restare ciononostante al suo posto. È divenuto noto il contenuto di alcuni verbali relativi agli interrogatori resi dall’avv. Amara innanzi alla Procura della Repubblica di Milano, secondo i quali sarebbe esistita una cd. Loggia Ungheria, che, tra l’altro, avrebbe condizionato l’assegnazione di incarichi direttivi ai magistrati.

Tali verbali sarebbero stati informalmente consegnati da un magistrato inquirente ad un componente del CSM ed il relativo contenuto sarebbe stato, sempre informalmente, condiviso da quest’ultimo con il Presidente della Commissione antimafia. La ragione di questo passaggio di mano dei verbali sarebbe stata la preoccupazione dovuta al fatto che, nonostante la gravità delle rivelazioni, non fossero state subito disposte dal capo dell’ufficio le conseguenti indagini. Milena Gabanelli nella sua rubrica ”Data room” ha offerto alcuni dati precisi, e sconvolgenti, su come funziona la giustizia domestica nell’ambito del CSM.

Alla crisi di carattere istituzionale, di cui sono espressivi i fatti appena menzionati, si è aggiunto, con drammatica evidenza, l’aggravarsi della crisi del servizio giustizia, che non è più in grado, troppo spesso, di dare una risposta adeguata, nei tempi e nei contenuti, alle esigenze della collettività. Tanto da essere diventato uno dei fattori decisivi della crisi strutturale in cui versa l’economia italiana. A fronte di tutto questo, il Capo dello Stato ha affermato, in occasione del ventinovesimo anniversario della strage di Capaci, che «sentimenti di contrapposizione, contese, divisioni, polemiche all’interno della Magistratura, minano il prestigio e l’autorevolezza dell’Ordine Giudiziario». In altri termini, “non litigate”. Forse un po’ poco, troppo poco, rispetto al quadro appena descritto.

La drammatica crisi in cui la giustizia è sprofondata è il frutto avvelenato del rifiuto di dare corso a qualsiasi tentativo di riforma. La Magistratura associata, con il sostegno di alcune forze politiche, si è opposta pervicacemente a qualsiasi tentativo di incidere sull’attuale assetto, in nome della tutela dell’autonomia e dell’indipendenza. Ma, nel momento in cui emerge che il risultato è la creazione di un “sistema”, quale quello descritto da Palamara e confermato dalle intercettazioni che lo riguardano, il rifiuto di ogni possibile riforma si è palesato essere stato nient’altro che la difesa di un assetto di potere, per giunta del tutto illegittimo. Oggi, il Governo in carica si sta muovendo in una duplice direzione: da un lato cercando di intervenire sui meccanismi della giustizia civile e su quelli della giustizia penale e, dall’altro, cercando di intervenire sull’ordinamento giudiziario (composizione del CSM, rapporti tra funzione requirente e funzione giudicante, attività politica dei magistrati, etc.). Su quest’ultimo tema si concentra, in modo pressoché esclusivo, anche l’iniziativa referendaria portata avanti dal Partito Radicale e dalla Lega.

Letta non ha avuto esitazioni nel posizionare il Partito Democratico su di un atteggiamento nettamente conservatore. Sul tema della riforma della giustizia penale ha tenuto a precisare di essere contro l’impunitismo. Neologismo creato per l’occasione, ma di significato assai miserevole se, come sembra, esprime l’ossessione di ogni giustizialista che qualcuno possa farla franca. Tutto il contrario di quello che il pensiero liberale ha sempre ritenuto: il problema centrale del diritto penale è quello di garantire lo statuto dell’imputato, anche se colpevole, essendo chiamato a misurarsi con un potere, quale quello dello Stato, che se non regolato è illimitato e potenzialmente prevaricatore. Ma è soprattutto sul secondo aspetto che si misura la posizione di Letta.

Ha, difatti, dichiarato che il suo programma su questi temi è quello della Ministra Cartabia e che l’iniziativa referendaria è solo un modo, evidentemente a suo avviso esecrabile, “per fare lotta politica”. Sennonché la proposta di riforma dell’ordinamento giudiziario, che la Ministra ha illustrato ai capi gruppo dei partiti di maggioranza della Commissione Giustizia alla Camera non tocca, ma anzi rafforza, il potere delle correnti, non blocca le porte girevoli tra magistratura e politica, non introduce alcun profilo di responsabilità per i magistrati, non affronta realmente il tema della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, non assegna alcun ruolo alla società civile nella valutazione dei magistrati.

Si potrebbe obiettare che si tratta, alla fin fine, di problemi che riguardano per lo più le questioni interne all’Ordine Giudiziario. Ma non è così: qualsiasi riforma della giustizia civile e della giustizia penale passa attraverso l’interpretazione, che poi è chiamata a darne la magistratura. Ed una magistratura totalmente autoreferenziale, come quella attuale, è capace di vanificare ogni riforma. Un esempio? Più volte il legislatore, negli ultimi trenta anni, ha cercato di intervenire per limitare l’uso della carcerazione preventiva. Ma senza successo: la magistratura ha interpretato le nuove norme in continuità con le proprie prassi precedenti. E l’eccesso di custodia cautelare non è mutato.