Le scelte di un gruppo imprenditoriale sono libere e, entro certi limiti, insindacabili. Sotto questo profilo il caso Italvolt ha avuto un risalto mediatico superiore a quanto oggettivamente verificatosi. Le dimensioni dell’investimento, il ritorno occupazionale molto significativo costituirebbero elementi di rimpianto nel caso che vi fosse stata per davvero una iniziale forte presa in considerazione del territorio campano tra le opzioni preferenziali rispetto al possibile nuovo insediamento produttivo. Da quanto è emerso dalle cronache dei giorni scorsi, tale condizione non si è mai sostanziata. Allo stesso modo si deve ragionare per le decisioni di investimento che, al contrario, dovessero orientarsi verso la Campania.

Si tratterebbe di scelte che, per quanto sostenute dalla disponibilità e da un concorso di condizioni favorevoli concordate preventivamente, in trasparenza e nel rispetto delle normative, con enti e forze sociali, resterebbero imputabili alla volontà aziendale, a logiche interne di pianificazione programmazione delle attività, in un’ottica di mercato. Naturalmente, in questo caso, laddove si trattasse di iniziative con un impatto rilevante in termini di sviluppo e nuova occupazione, l’Unione Industriali sarebbe pronta a supportare l’impresa in questione nei rapporti con istituzioni e amministrazioni. Al di là del presunto caso Italvolt, se mai, va posta attenzione a una questione di carattere generale. Come rendere il Paese, e in particolare la Campania e il Mezzogiorno, più attrattivi per nuovi insediamenti produttivi o anche per il potenziamento di realtà già presenti?

Quali politiche industriali sono o vanno messe in campo dagli enti preposti, a partire dalle Regioni? Come vanno raccordate con la politica di sviluppo economico del governo centrale e con le grandi direttrici di marcia tracciate dall’Unione europea? Tali interrogativi attualmente si innervano di una maggiore concretezza. È l’effetto di una concomitanza di circostanze che può permettere di avviare dinamiche di sviluppo grazie a una mole di risorse ingenti, mai disponibili in queste dimensioni e con queste modalità. Le risorse del Piano di ripresa e resilienza, per esempio, scaturiscono da una svolta radicale nelle politiche europee, per cui dalla politica del rigore si è passati a una strategia che, senza rinunciare, nel medio termine, al risanamento finanziario, offre a Paesi come il nostro la possibilità di rilanciare la struttura economica e produttiva attraverso investimenti mirati a trasformarla nella direzione di uno sviluppo digitale, ecosostenibile e inclusivo. Con l’obiettivo di una coesione sociale e territoriale, il cui conseguimento significherebbe tra l’altro allargare la base imponibile e creare così le premesse indispensabili per la riduzione del debito pubblico.

Alle risorse del Recovery Plan si aggiungono quelle del nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei, i fondi residuali ma ingenti destinati a chiudere il ciclo precedente e le risorse nazionali del fondo coesione. Risorse da utilizzare per ridurre i divari. Non avremo più un’opportunità simile. Per raggiungere lo scopo serve una vision internazionale del ruolo del Sud per la crescita del Paese. Per fare del Meridione un secondo motore produttivo nazionale, va recuperata la centralità dell’Italia nel quadro di una politica mediterranea europea finalmente più attiva e mirata.

È interesse dell’Italia e dell’Europa non perdere le opportunità determinate dalla considerevole ripresa dei traffici nell’area, destinata a implementarsi appena superata la fase critica della pandemia. Il Sud, per la sua collocazione geografica, è il territorio vocato a essere protagonista di questa nuova fase di sviluppo. Ma è importante che si creino precondizioni che favoriscano nuovi investimenti, a cominciare dal potenziamento delle infrastrutture regionali e, su scala nazionale, del completamento delle reti di trasmissione dati (banda larga), ferroviarie (alta velocità) e stradali.

Se nel Mezzogiorno si creeranno i presupposti – dal potenziamento dei trasporti e della logistica, alle connessioni tra porti e interporti, all’ulteriore sviluppo dell’industria aerospazio e della sua filiera, al decollo delle Zone economiche speciali alle reti energetiche e alle piattaforme tecnologiche – ci sarà spazio anche per l’impresa verde e sostenibile. Non partiamo dal nulla. Nel campo delle fonti rinnovabili, il Sud produce già ora i tre quarti dell’energia nazionale. Implementare il green si può fare quindi partendo da Mezzogiorno. Al di là di un’occasione mancata, vera o presunta che sia.