Fanno finta tutti: eccellente di qua, competentissimo di là, bravo bravissimo per carità, lui sì che rimetterà in armonia le sgangherate opinioni, i gusti demenziali e le fragranze retoriche della banda di sciamannati che hanno agito come i Proci ad Itaca pensando che Ulisse non arrivasse mai con il suo arco e i suoi dardi. Mario Draghi non è un bravo messia sceso sulla Penisola per armonizzare la quadra e il punto di caduta, come dicono quelli della banda. Draghi è semmai il “fixer”, quello che affronta la scena del delitto per far sparire cadaveri, bossoli, impronte e anche un paio di sprovveduti che non avevano capito. È un uomo in “suit” per eccellenza: sempre in completo scuro con cravatta, mai un soprabito nemmeno quando si gela.

Quando parla, usa segmenti di discorso sperimentati e tradotti dall’inglese. Lo ha mandato l’Europa, ovvero è stato mandato da se stesso, essendo il più pregiato “fixer” del mondo ed è stato spedito per riportare il Paese nella comunità, visto che la comunità sta per sganciare un malloppo che non vorrebbe veder sprecato. Matteo Renzi è stato il suo Giovanni Battista ma anche il suo cavallo di Troia. Renzi è in carriera per cariche internazionali ed ha accelerato il collasso già in atto, responsabile dello stato della pandemia e dell’economia, fuori controllo. Mattarella ha fornito al “fixer” le password d’accesso e ci sono voluti almeno tre giorni prima che il serraglio governativo per caso realizzasse che non era arrivato l’uomo angelico e provvidenziale venuto per mediare e rimettere insieme i cocci, ma quello che avrebbe ripulito la scena del delitto degli ultimi due anni e mezzo.

Matteo Salvini l’ha capito al volo e anche Beppe Grillo, sorprendendo il suo popolo di zombie di provincia, ha colto il concetto ed è corso a Roma, ricorrendo all’antica massima secondo cui quando il tuo avversario è troppo forte, passa dalla sua parte: “Noi siamo con Draghi, proprio perché che è venuto per farci fuori e dobbiamo stare dalla sua parte per sopravvivere”. È lo scenario dei film di Quentin Tarantino, o del filone francese di Nikita o Leon. Il povero Pd, non sapendo che faccia fare, simula di aver battuto Salvini sull’Europa e anche Salvini recita a soggetto. L’importante è far finta di non aver capito e simulare di chiedersi se il governo Draghi sarà tecnico, politico o ibrido. Il punto è che questo governo, se ce la farà come sembra a passare gli esami di ammissione, ha il compito di liquidare la stagione dei populisti resettando la politica italiana, con il cortese aiuto dei condannati.

Soltanto così si spiega lo straordinario fenomeno della corsa olimpionica per saltare sul carro del vincitore prima ancora che lui arrivi e sempre a favore di telecamera. Che l’Europa accompagni l’operazione Draghi è sotto gli occhi di tutti perché a Bruxelles sono terrorizzati all’idea di sganciare all’Italia il Piano Marshall di duecento e passa miliardi, così come aveva fatto una pessima impressione l’appropriazione indebita dei servizi segreti da parte dell’avvocato Conte e del suo circolo di amici.

L’insistenza di Renzi su questo punto è stata chiarissima. È poi toccato a Mattarella compiere tutti i riti e gli accertamenti per giustificare l’assunzione dell’uomo in grado di chiudere la partita dell’avvocato Conte e dei suoi amici di studio. La colonna sonora è quella del vecchio western di Sergio Leone quando tutti capiscono che se un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto. Ma senza alzare la voce e con garbo istituzionale.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.