Il presidente della Repubblica, appena qualche giorno fa, aveva chiesto ai magistrati di darsi una regolata. E aveva auspicato una riforma del Csm. Per quale motivo? Per la semplice ragione che dal “Palamaragate” in poi inizia ad apparire chiaro a molti cittadini che l’impianto della giustizia italiana è profondamente minato da pastette, camarille, abusi di potere, corporativismo, cordate. Addirittura c’era stato un alto magistrato (del quale parleremo tra poche righe) che ha definito “metodi mafiosi” quelli usati dalle cordate dei magistrati. Benissimo, siccome la sgridata del Presidente ha lasciato tutti indifferenti, eccoci qua a segnalarvi due casi clamorosi. L’ultimo recentissimo, del quale scrive Tiziana Maiolo, l’altro vecchio di qualche settimana e altrettanto clamoroso.

Il primo ha per protagonista – ironia della sorte – addirittura lo stesso magistrato che aveva segnalato le cordate mafiose. Stavolta questo magistrato – che è Nino Di Matteo, e che è un autorevolissimo membro del Csm, cioè dell’organo di autogoverno della magistratura, e che è stato anche un importante Pm – importante e clamorosamente sconfitto in Corte d’Appello nel famoso processo Stato mafia – il quale durante un’intervista in Tv, sulla Rai, ha detto che Silvio Berlusconi non va candidato al Quirinale perché ha avuto rapporti con la mafia.

Il secondo caso è quello dei Pm di Firenze che non hanno impedito che arrivassero ai giornali (vi piace il gioco di parole per evitare la querela?) fiumi di intercettazioni (di nessuna rilevanza penale e processuale) utili a sputtanare un cittadino italiano di nome Matteo Renzi.

Sul primo caso tre domande: prima, è giusto che un membro del Csm rilasci interviste polemiche alla televisione? Non sarebbe meglio se esercitasse le sue funzioni nei luoghi e nelle forme previste dalla legge? Seconda: un membro del Csm deve intervenire nella lotta politica che sta dietro le candidature al Quirinale? Terzo, un membro del Csm ha il diritto di diffamare il leader di uno dei partiti politici più importanti del paese? Poi c’è un’altra domanda. E se però questo membro del Csm fa tutte queste cose, è giusto che resti al suo posto? Non sarebbe meglio se, per dedicarsi alla politica, lasciasse prima la magistratura? Oppure, in caso contrario, la sua posizione non dovrebbe essere esaminata e giudicata da qualcuno? Da chi? Dallo stesso Csm? Su ordine di chi? E il presidente del Csm ha qualcosa da dire, o può restare indifferente fingendo che non sia successo niente?

Sul secondo caso due domande sole. Prima, una magistratura in grado di autogovernarsi può ignorare il caso di alcuni suoi esponenti che approfittando dell’enorme potere che viene loro conferito dalla funzione che svolgono, esercitano poi questo potere non ai fini processuali ma per spargere fango? Seconda domanda: se però la magistratura che si autogoverna non è in grado di intervenire – allontanando i Pm che abusano del loro potere e quindi proteggendo il diritto e i cittadini sottoposti a vessazioni- non è il caso che intervenga il Parlamento per togliere alla magistratura incapace di autoregolarsi, i poteri eccessivi di cui gode e che gli permettono di esercitare un numero significativo di soprusi sui cittadini?

Queste domande sono tutte rivolte al Csm, al presidente della Repubblica e ai partiti politici. Cioè ai soggetti in grado di sospendere l’attacco di pezzi della magistratura allo stato di diritto. Ho l’impressione però che né il Csm, né il Quirinale né i partiti politici risponderanno. Non perché trascurino l’autorevolezza del Riformista (del resto, senza bisogno del Riformista, queste domande potrebbero rivolgersele da soli), ma perché non hanno le risposte. Per pavidità, per quieto vivere, per interesse, per calcolo…

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.