Si aspetta che i giudici di Palermo escano dalla camera di consiglio e annuncino la sentenza di appello del processo che si chiama “trattativa stato-mafia”. Tra gli imputati non ci sono i principali rappresentanti della mafia, ci sono invece diversi rappresentanti dello Stato, alcuni dei quali, in passato, impegnati nella lotta a Cosa nostra con successo e a rischio della vita. E oggi vittime della caccia all’uomo lanciata da alcuni magistrati. Non si sa assolutamente quali fossero i termini di questa ipotetica trattativa. Si ignora chi la diresse, da parte dello Stato. I testimoni che raccontano che la trattativa ci fu, e che sono gli unici elementi – non certo di prova ma solo di vago indizio – a carico degli imputati sono un mafioso (Brusca) che però è stato scagionato per prescrizione, e il figlio di un mafioso (Ciancimino) che ha subito una condanna per calunnia. Più che un processo sembra uno spettacolo da circo.

I capi della trattativa – secondo l’accusa – erano due leader democristiani, Nicola Mancino e Calogero Mannino, i quali però, in processi paralleli e riti abbreviati, sono stati tutti ampiamente e ripetutamente assolti. Quindi non si capisce chi guidò questa trattativa. L’imputato principale, il generale Mori (insieme al suo vice De Donno) è considerato, da chi conosce la storia, il principale artefice della lotta alla mafia, al fianco di Falcone e Borsellino, ed è l’uomo che ha decapitato Cosa Nostra, catturando Riina. L’altro imputato eccellente, Dell’Utri, al momento della ipotetica trattativa era un dirigente di un’azienda privata e non c’entrava niente né con la politica né con lo Stato. Persino l’accusa è un po’ comica.

Gli imputati si sarebbero dati da fare per fermare le stragi mafiose e sventare un attentato a un plotone di carabinieri che avrebbe provocato centinaia di morti, promettendo in cambio privilegi che poi mai furono concessi. C’è però un pezzo di magistratura che si è imbarcato in questa avventura folle, probabilmente con la speranza di colpire Berlusconi. Inutilmente. Ora i giudici hanno la possibilità di porre fine a questa messa in scena e stabilire che l’Italia è un paese serio. Mandando assolti gli imputati.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.