L'intervista
“Trattativa Stato-mafia, una fiction per insabbiare indagini di Falcone e Borsellino”, parla Basilio Milio avvocato di Mario Mori
«Nella mia vita lavorativa farò solo un processo», scherza al telefono da Palermo l’avvocato Basilio Milio. «Perché i processi al Generale Mori sembrano un filone inesauribile che va avanti da quasi vent’anni». Ma che cos’è veramente la Trattativa (lo scriveremo maiuscolo, come vuole la Siae) Stato-Mafia? Una bella fiction, a sentire Milio. In seguito alle trasmissioni dedicate all’attentato di via D’Amelio ecco riproporsi il plot più avvincente della narrazione collettiva, quest’anno a reti unificate: Rai Uno (Cose Nostre) e La7 (Atlantide) servono in prima serata una verità di parte; non sentono tutte le fonti, non interpellano la difesa di Mori che nel frattempo lo ha fatto assolvere da una parte ed attende la sentenza di appello dall’altro. La Trattativa non è esistita? E chi se ne frega: per il grande pubblico sul divano di casa, pop corni caldi in mano, è l’ora dello show. «Peccato che la Trattativa Stato-Mafia non esista. Non esiste come è stato sentenziato in diversi pronunciamenti. Sia nei precedenti giudizi a carico di Mori sia per l’assoluzione dell’onorevole Mannino», dice l’avvocato Milio. «È una bella serie televisiva. Ne parla tanto la televisione, si fa docufiction. Purtroppo è diventata una fiction giudiziaria: ci sono stati tanti processi, tanti personaggi, tanta azione. Ma la trattativa, che non è mai esistita, quando anche fosse esistita non sarebbe comunque un reato. Dire che c’è stata una condanna perché lo Stato ha trattato con la mafia non è corretto dal punto del vista del diritto e da quello dei fatti. Perché il fatto non esiste».
Quali elementi fissa la condanna di primo grado?
La condanna di primo grado ritiene che una trattativa ci sia stata, ma non condanna per quella. Il reato addebitato è minaccia al governo, al corpo politico. La condanna di Mori e degli altri è avvenuta perché secondo il giudice di primo grado loro hanno costituito una minaccia per il governo. Nello specifico: avrebbero portato la minaccia di Riina e della mafia fino al governo.
In cosa consisteva la minaccia della mafia?
Nel dire che se si fosse continuato con la politica del 41bis, le stragi sarebbero continuate. Peccato che Mori non ha trattato con la Mafia, né rivolto minacce al governo. Il fatto che Mori abbia veicolato una minaccia, secondo la sentenza di primo grado, si sarebbe realizzato il giorno in cui Mori andò a parlare con Francesco Di Maggio, capo del Dap, e avrebbe rappresentato una spaccatura tra Riina e Provenzano a proposito della continuazione delle stragi. Mori avrebbe rappresentato, il 27 luglio 1993, che c’era una diversificazione di posizioni. Ma questa spaccatura tra Riina e Provenzano, Mori l’avrebbe appresa da Salvatore Cancemi. Il problema di questa ricostruzione è che nel primo verbale del 22 luglio 1993, non appena Cancemi si costituisce, Cancemi non parla di una divergenza di vedute, ma anzi dice a Caselli e Scarpinato che Provenzano vuole uccidere il capitano Ultimo per aver arrestato Riina. E non ne parla nemmeno nei verbali successivi a quel 27 luglio 1993.
Questo è un fatto centrale.
I giornalisti hanno le sentenze che smentiscono questa ricostruzione. Si dice che il giudice Borsellino sia stato ucciso a causa dei contatti tra i Carabinieri del Ros e Vito Ciancimino. Questi contatti vengono raccontati da Massimo Ciancimino, figlio di Vito, e inquadrati come trattativa Stato-mafia. A seguito di questi contatti, secondo le ricostruzioni televisive, la mafia avrebbe avanzato richieste nei confronti dello Stato (quelle contenute nel famoso “papello”). Riina avrebbe deciso di anticipare l’eliminazione di Borsellino perché sarebbe venuto a conoscenza di questa trattativa segreta e si sarebbe opposto.
Una ricostruzione cui lei non crede.
Una ricostruzione indimostrata: non c’è una sola prova in tal senso. E soprattutto non c’è alcuna prova che quei contatti abbiano integrato una trattativa. Quei contatti furono rapporti tra ufficiali di polizia giudiziaria che cercano latitanti e una fonte confidenziale, Vito Ciancimino, che era un informatore avviato a un percorso di collaborazione con la giustizia. Per me dare la caccia ai latitanti più pericolosi è l’esatto opposto dell’intavolare una trattativa. E la sentenza di appello che ha assolto Mannino, la cui motivazione è stata depositata nell’ottobre scorso, non a caso qualifica questa operazione come una operazione info-investigativa.
E come mai la fiction va avanti con tanto successo?
Gli interessi sono convergenti: fa comodo a qualcuno e fa fare numeri alle televisioni dire che Borsellino sia stato ucciso a fronte di una trattativa. Le ragioni dell’accelerazione della strage in cui perse la vita Borsellino e gli uomini della scorta furono altre. Si temeva che Borsellino fosse nominato Super Procuratore Antimafia. E soprattutto c’era il timore che Borsellino proseguisse con De Donno, avvalendosi della collaborazione del Ros, l’inchiesta iniziata da Falcone sulla correlazione mafia-appalti, che coinvolgeva anche uomini politici.
Fu un attentato strano, sottovalutato.
Ci furono diverse polemiche e alcune convocazioni da parte del Csm dei magistrati della Procura di Palermo che lamentarono deficit nelle misure di sicurezza, ma di fronte al Csm alcuni magistrati posero l’accento su una riunione, avvenuta il 14 luglio 1992, cinque giorni prima della morte di Borsellino, tra gli appartenenti alla Procura della Repubblica di Palermo. Nella quale Borsellino chiese conto e ragione del fatto che i Carabinieri si erano lamentati degli esigui sbocchi processuali di quell’inchiesta su mafia e appalti.
Era quasi una denuncia.
Borsellino chiese conto e ragione del perché l’indagine Mafia-appalti procedesse così a rilento. Manifestò interesse e protesse i Carabinieri chiedendo di quella indagine ai suoi colleghi.
Qual era il rapporto Borsellino – Mori?
Mori aveva rapporti frequenti e più confidenziali con Falcone. E lo stesso dicasi per De Donno. Era un rapporto professionale serio, Mori godeva la massima fiducia di Borsellino, che in quel periodo successivo alla morte di Falcone parlava dell’indagine mafia-appalti con tutti. Ma non parla mai di Trattativa Stato-mafia. Mai. Sente De Gennaro al telefono il 18 luglio, il giorno prima di morire. Vede Ingroia e la Principato in Procura, e con nessuno parla della ipotesi della Trattativa.
All’epoca nessuno parlava dell’ipotesi Trattativa.
La vedova di Borsellino, la signora Agnese Piraino Leto ha rivelato che il marito le riferì a fine maggio ’92, genericamente, dell’esistenza di una trattativa. La dottoressa Ferraro ha poi detto di avergli parlato del proposito di De Donno di incontrare Vito Ciancimino. Borsellino liquidò l’argomento dicendo “Va bene, ci penso io”. Mentre chiese insistentemente alla Ferraro informazioni sull’inchiesta Mafia-Appalti.
I nomi originariamente coinvolti, per cui le indagini vennero poi chiuse, riguardavano Siino e altri quattro imprenditori… Questa indagine ebbe un primo momento di archiviazione dopo la strage di via D’Amelio nei confronti di taluni mafiosi ed imprenditori. Successivamente alla morte di Borsellino vi furono però dei pentimenti e delle acquisizioni investigative per cui questa indagine venne ripresa. I riferimenti agli uomini politici erano contenuti in talune intercettazioni nelle quali figuravano i nomi, tra gli altri, di Rino Nicolosi, dell’ex ministro De Michelis, dell’onorevole Mannino.
Borsellino non si fidava troppo della Procura?
Borsellino chiese di vedere il 25 giugno 1992 De Donno e Mori presso una Caserma dei Carabinieri e non in Procura. “Voleva un incontro blindato al riparo da orecchie e occhi indiscreti”. Borsellino chiese a De Donno se fosse disponibile a procedere nelle indagini, avendo lui quale unico referente.
E invece di Mafia-Appalti si è parlato poco…
In merito a Mafia-Appalti, Ingroia, testimoniando a Caltanissetta sulla strage di via D’Amelio, disse che Borsellino voleva ricostruire la genesi di quella indagine ed ebbe colloqui con ufficiali dei Carabinieri tra cui De Donno e con altri colleghi magistrati. Lo stesso Di Matteo, la individuò nell’ambito del processo Borsellino Bis (1999) come una, se non la più importante delle causali dell’uccisione del dr. Borsellino. Sul tema è stato sentito anche Antonio Di Pietro. Borsellino, davanti al feretro di Falcone, gli disse che le ragioni della morte di Falcone andavano ricercate nell’ambito dell’indagine mafia-appalti.
Tutti individuavano in altro le ragioni dell’uccisione di Borsellino.
Di Matteo lo dice nel momento in cui erano già a disposizione tutti gli elementi che vent’anni dopo lo hanno fatto parlare di trattativa. Chiunque poteva conoscere le dichiarazioni di Vito Ciancimino (1993 a Caselli e Ingroia) e le dichiarazioni che i Carabinieri fecero a Firenze (1998), e le dichiarazioni di Brusca del ’96-’97.
Qual è l’elemento nuovo?
Si fa parlare in lungo e in largo Massimo Ciancimino, che fa una ricostruzione dei contatti tra il padre e i Carabinieri diciamo fantasiosa, volendo essere magnanimi. Nell’intervista di Atlantide protagonista è proprio lui. Eppure Ciancimino è stato dichiarato inattendibile da tutti i magistrati d’Italia. È un personaggio destituito di credibilità.
Cosa avrebbe ottenuto la mafia?
Secondo la vulgata il ricatto mafioso si sarebbe tradotto nella revoca dei 41 bis fatta da Conso nel novembre 1993, laddove però ci sono documenti che provano come quei provvedimenti furono revocati sulla base di sentenze della Corte costituzionale che ponevano dei paletti, e si cercò dunque di adeguarsi. A testimonianza di questo, c’è un dato: alcuni dei soggetti a cui fu tolto il 41bis, Vito Vitale per esempio, da lì a qualche tempo venne scarcerato. Verrà riarrestato solo nel 1998. Questo dimostra che in quel momento non solo mancavano gli elementi per tenerli al 41 bis, ma non c’erano neanche le risultanze necessarie per la carcerazione.
Oggi sappiamo che Vito Vitale prese il testimone di Riina.
Ma nel 1993 non lo sapeva nessuno, anzi probabilmente non lo aveva ancora preso. Queste trasmissioni televisive omettono tutte le risultanze non funzionali alla conferma del teorema che si vuole supportare. E poi rileggono i fatti di vent’anni fa con le lenti di oggi.
Qual è lo scopo del gioco?
Continuare ad accreditare un teorema, quello della trattativa, nonostante testimonianze e sentenze, anche irrevocabili come le assoluzioni di Mori. E quella recente di Mannino. Non vorrei che la ragione fosse quella di continuare a influenzare l’opinione pubblica: è singolare, inoltre, come a distanza di quasi trent’anni si continui a non prendere nella dovuta considerazione quella indagine del Ros e anzi a non attribuirle alcuna importanza.
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