La resistenza ucraina
Putin ingannato dai suoi colonnelli, l’Ucraina esiste, combatte e sta mettendo lo zar alle corde

Ammesso e per niente concesso che la grande macelleria Ucraina si avvii a chiusura, grazie ai negoziati promossi dal Sultano di Ankara, ci si aspetta che dopo quel triste e tremendo groviglio insanguinato di invasi, invasori, carri d’acciaio, missili e bambini morti il cammino sarà lungo, tortuoso e pieno di inganni: ieri sera Mosca ha raggelato le attese fiorite troppo presto e lo stesso Putin ha fermato le macchine dicendo: «Da questi colloqui non è uscito niente di promettente». E gli ucraini hanno risposto: «Ci hanno ingannato, non esiste alcun segno di ritiro da Kiev e da Chernihiv». Quanto a noi europei che non vedevamo l’ora di chiudere la partita, non resta che morderci la lingua.
Per ora si capisce che la veloce operazione militare è fallita perché figlia di una totale sottovalutazione russa e non soltanto a causa della preparazione degli ucraini. Ciò che ha sorpreso tutto il mondo, russi per primi ma non gli ucraini, è e resta la tenuta davanti a tutte le telecamere di una popolo accusato di non esistere ma che mentre combatte mantiene in ordine le stazioni della metropolitana in cui i bagni sono in condizioni igieniche perfette, i medici passano fra la gente e il cibo che arriva è sistemato secondo criteri di età, o genere. Putin ha dovuto prendere atto con frustrazione e con ira quanto i rapporti di intelligence fossero corrotti dall’intenzione di compiacere il capo con notizie inventate. È stato lo stesso Vladimir Putin a mostrare al mondo la sua scenata al capo dell’intelligence militare, il Gru, che aveva miseramente fallito. Il comportamento delle truppe di Mosca si è rivelato quello di una armata di vecchi carri armati e di poveri ragazzi spaventati e inclini a piangere, arrendersi e comparire davanti alle televisioni ucraine per raccontare la loro storia di adolescenti scaraventati in un mattatoio anziché in una esercitazione.
L’Occidente ha così imparato che le truppe russe spedite in Ucraina, salvo alcuni reparti speciali di tagliagole o comunque di assalto, non erano motivate: dal momento che non sapevano ciò che stavano facendo, quando hanno capito che stavano facendo una guerra contro i civili così come ottanta anni fa avevano fatto i tedeschi durante la Grande Guerra Patriottica anche nell’Ucraina occupata, si sono sentiti traditi. Un altro grave elemento di geopolitica che non era stato valutato è la lingua. I russi hanno scoperto con sgomento che gran parte dei soldati ucraini che combatteva ferocemente contro di loro, indossando uniformi pressoché identiche, parlavano russo anziché ucraino, oppure entrambe le lingue insieme. Questa circostanza ha costituito un fattore psicologico rovinoso per le truppe di Mosca perché i militari hanno avuto la sensazione di combattere contro un nemico che era però anche un fratello. L’apparente fratellanza linguistica avrebbe solo in parte dato ragione a Putin quando sosteneva che gli ucraini come popolo non esistono perché l’Ucraina è semplicemente russa. Putin appare stretto in un circolo di ufficiali del Kgb da cui lui stesso proviene, convinti che il fattore imperiale potesse sempre schiacciare quello nazionale, come era accaduto sotto Stalin e Gorbaciov. Ma il principio si è dimostrato sbagliato. I popoli non evolvono per comunità linguistiche ma per comunità di visione del presente e del futuro.
Questa – fatti alla mano – risulta essere la principale questione geopolitica. Non si tratta di romanticismi nazionali o di poesia, ma di realtà. Putin pensava, o così gli hanno fatto anche credere, che sarebbe stato sufficiente far sferragliare i cingoli dei carri ed emettere fumo di nafta dai camion lanciamissili perché la genetica dell’impero recuperasse i suoi sudditi. Invece, gli ucraini stanno battendo militarmente i russi: hanno armi difensive per frenare la marcia dei carri, hanno difese per intercettare molti dei missili che gli piovono sulla testa, hanno attrezzature elettroniche che richiedono molto addestramento. Ad addestrare gli ucraini sono stati per lo più gli inglesi. E i canadesi. Boris Johnson si trovava, boots on the ground, uomini con stivali sul terreno prima che Biden fosse eletto. Gli ufficiali inglesi che hanno assistito ai combattimenti hanno detto che “quei ragazzi stanno lavorando talmente bene da sembrare i nostri ragazzi”. E questo perché c’è una guerra fra russi e ucraini ma anche una fra inglesi e russi che dura da quasi un secolo e non si è mai fermata.
Il Regno Unito ha una memoria che parte da prima della Guerra fredda perché inizia con gli anni Trenta e il grande tradimento dei “Cinque di Cambridge” capitanati da Kim Philby e che, essendo aristocratici bolscevichi inglesi, minarono l’intelligence del Regno Unito proprio per causa della rete sovietica che Philby, ufficiale del Mi6 introdusse nel servizio di sua Maestà con Anthony Blunt, Donald Maclean, Guy Burgess e John Cairncross, prima di rifugiarsi a Mosca dove fu uno dei ristrutturatori del Kgb e dove mori nello squallore. Negli anni più recenti Londra è stata il terreno di scontro con le storie degli avvelenamenti (io stesso sono stato ospite per due giorni a Scotland Yard per il processo sul caso Litvinenko) e del confronto diretto con le armi in pugno, mentre in Italia i giornali si giravano in genere dall’altra parte. che non è mai terminato, né con Tony Blair che fece levare i suoi caccia quando il mio amico Sasha Litvinenko morì avvelenato proprio nel giorno in cui riceveva cittadinanza e passaporto britannico.
E da allora non un solo Prime Minister ha avuto fiducia in chiunque sedesse sul trono del Cremlino, con la cauta eccezione di Michail Gorbaciov, che però era stato passato al setaccio dai servizi britannici grazie alla collaborazione di Oleg Gordiewky, ex capo della “residentura” del Kgb a Londra e che ho avuto la fortuna di incontrare nella sua piccola casa in mezzo al verde e a un discreto numero di bottiglie di Chianti. Appena cominciata l’invasione, i servizi militari del Gru si sono resi conto sia dell’efficienza militare che della compattezza civile di un popolo e di un esercito che non erano stati in grado di valutare. Di qui i licenziamenti, gli arresti, le sparizioni e le uccisioni mirate di sette generali russi mandati in prima linea per espiare la colpa della loro approssimazione. Quando i russi hanno fatto trapelare la buona notizia dei “passi avanti” mentre seguitavano a bombardare e uccidere, inglesi e americani hanno subito detto – come vuole il copione della vecchia Guerra fredda – che i russi non sono mai affidabili perché non considerano la verità un valore logico. Ieri, inglesi e americani, mentre il mondo esprimeva un minuscolo sospiro di sollievo, dichiaravano in piena sincerità di non credere a una parola sull’imminente conclusione dei negoziati.
Ciò spiega anche il diverso atteggiamento umano rispetto a noi vecchi continentali e specialmente di noi italiani sempre felici di correre ad accendere un cero alla madonna cantando “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato”. Il “guerrafondaio” Boris Johnson non fa eccezione, come non ne avrebbe fatta Theresa May. Gli americani sono invece relativamente nuovi a questo che è stato per decenni il teatro delle spie, degli agenti doppi e tripli, degli scambi di prigionieri i quali, se vivi, sono tutti ancora in campo, o sono i loro figli: ciò che accade nel teatro della periferia dell’Impero fa parte della letteratura di un maestro di Espionage come John le Carré, e non di quella di Tolstoj.
Un esito certo di questa guerra seguita all’invasione è che gli ucraini – che sono come i russi – hanno voluto dichiarare davanti al mondo che non sono russi, salvo quelli del Donbass. E anche se lo fossero stati nel passato, rifiutano sia l’impero che il ritorno all’impero di Mosca e che anzi sono pronti a morire pur di non tornare sotto il Cremlino. Chi pensa che questi siano temi romantici, o emotivi, o anche frutto di una scaltra propaganda, impedisce a sé stesso di comprendere una situazione umana che non è meno geopolitica di quella che riguarda il gas. Del resto, Graham Greene, maestro della letteratura di intelligence titolò il suo libro di spionaggio più famoso Il fattore umano e sul fattore umano, anche, si sta giocando la sanguinosa partita ucraina.
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